Non hanno riaperto le fabbriche lunedì e non lo faranno nemmeno dal 4 maggio. La maggior parte della comunità cinese di Prato, circa 25mila persone e 4.800 aziende di pronto moda , ha deciso di rinviare la “fase due” quando la curva dei contagi sarà sotto controllo, senza seguire gli imprenditori italiani del settore tessile che in città hanno già riaperto da lunedì per la manutenzione delle macchine .“È troppo presto per riaprire – dice a ilfattoquotidiano.it Marco Wong, consigliere italo-cinese eletto con la lista del sindaco Matteo Biffoni – la situazione sanitaria non è ancora sotto controllo”.

La comunità cinese di Prato, la più grande in Europa dopo Londra e Parigi in rapporto alla popolazione, aveva deciso di obbligare i propri cittadini alla quarantena già da metà gennaio, con lo scoppio dell’epidemia. Stessa imposizione per i 2.500 cinesi che a febbraio erano tornati in Toscana dal Capodanno anche se la situazione è sempre stata sotto controllo perché la maggior parte di loro proviene dalla regione dello Zhejiang dove l’incidenza è stata di 2 casi ogni 100mila abitanti.

Anche per la scelta di mettersi in autoquarantena, Prato con i suoi 515 contagi attuali è una delle province meno colpite della Toscana dopo Firenze (3.039), Lucca (1.269), Massa Carrara (987), Pisa (844), Pistoia (621) e Arezzo (620). “La loro scelta fin dall’inizio è stata quella di chiudere ditte e negozi, sono spariti dai radar – commenta il sindaco Biffoni – così facendo hanno dato anche un messaggio ai pratesi quando è scoppiata l’epidemia. E’ stato un monito per gli altri cittadini: ‘Prendete la cosa sul serio’. Per questo capisco la loro scelta di stare chiusi anche adesso”.

“È ancora presto per riaprire: siamo preoccupati” – Da qui la decisione degli imprenditori del settore Pronto Moda di Prato di non riaprire il prossimo 4 maggio, nonostante il decreto del presidente del consiglio. “La preoccupazione sul rischio sanitario è ancora molto forte nella nostra comunità e ci sembra che ci sia troppa voglia di riaprire subito – continua Wong – La Cina ci insegna che bisogna farlo gradualmente e solo quando la situazione è contenuta. Molti di noi continueranno a lavorare in smart working”.

Al consigliere italo-cinese fa eco Lorenzo Wang, rappresentante dei giovani cinesi d’Europa: “Dal punto di vista degli affari, la stagione primaverile e quella estiva sono ormai perse – ha detto al quotidiano La Nazione – La curva dei contagi non è ancora ai livelli di sicurezza e non vogliamo rischiare”.

Le pressioni di Confindustria per riaprire – Lunedì scorso le 2.800 fabbriche del settore tessile di Prato e Santa Croce sull’Arno (Pisa) hanno riaperto per la manutenzione dei macchinari e la conservazione dei tessuti grazie all’ultima ordinanza del governatore della Toscana, Enrico Rossi, anticipando il governo. Che con una circola interministeriale ha incluso i distretti del settore manifatturiero orientati all’export tra quelli di “rilevanza strategica” e quindi autorizzati a riaprire già dal 27 aprile.

La riapertura è arrivata dopo una lunga battaglia degli industriali toscani contro il lockdown. Da inizio aprile Confindustria Toscana Nord ha iniziato a fare pressioni sulla Regione e sul governo per far ripartire il settore manifatturiero: a Pasqua gli imprenditori del tessile erano arrivati persino a issare la bandiera a mezz’asta in segno di lutto e negli ultimi giorni 256 imprenditori di Prato avevano inondato di Pec la prefettura annunciando un’azione di “disobbedienza civile” per riaprire subito.

Proprio Confindustria Toscana Nord è stata tra i primi a esultare per le aperture anticipate concesse ad “almeno 400 aziende” del distretto tessile. Gli imprenditori cinesi di Prato però non seguiranno Confindustria: “Le associazioni di categoria fanno il loro mestiere e lo capisco – conclude Wong – ma noi vogliamo attenerci alle indicazioni degli esperti: secondo loro è ancora troppo presto per riaprire. Non vogliamo mettere in pericolo la nostra salute”.

Twitter: @salvini_giacomo

L'articolo Coronavirus, a Prato le aziende cinesi non riaprono né ora né il 4 maggio: “È troppo presto, situazione sanitaria ci preoccupa” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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