di Valentina Petri*
Sembra uno di quegli episodi delle serie tv, quelle un po’ disturbanti alla Black Mirror, in cui il protagonista si sveglia tutte le mattine ed è costretto a rivivere sempre la stessa giornata finché non capisce cos’è che è andato storto.
Ecco, io mi sento così, e forse anche i ragazzi. Senza più l’orario, la giornata più leggera, quella pesante, quella con il pomeriggio, il sabato del villaggio, la domenica che dura niente ed è subito sera. No, qua è tutto uguale. E non si vede la fine. Anche se ormai è chiaro. Ma non ce lo dicono, non in faccia almeno, non ce l’ha detto la ministra dell’Istruzione, qualche giorno fa, che pure continua a mandare lettere affettuose che quasi quasi fanno piacere. E non ce l’ha detto neppure il presidente Giuseppe Conte, che pure parla parecchio e ormai a cena mi viene quasi da mettere un piatto in più, tanto sta sempre qui.
No, fanno come i medici, usano i giri di parole, le bugie pietose. Ci dicono che sarà necessario un prolungamento della sospensione dell’attività didattica. Non ci dicono, non ancora, che a scuola non si torna più. Ecco, l’ho scritto e già a vederlo nero su bianco sembra un poco più vero.
Non ci dicono che l’ultimo giorno di scuola c’è già stato e non ce ne siamo accorti. Io sono uscita da là un venerdì, con i pacchi di verifiche da correggere, il pensiero di levarmi ‘sti giovinastri da davanti per qualche giorno, la leggerezza all’idea del ponte carnascialesco. Con il fastidio di non essere riuscita a interrogare tutti prima della breve pausa, ma con la determinazione di finire il lavoro di lì a poco. Con un saluto frettoloso, un vago ammonimento a non fare troppo i cretini durante i veglioni di carnevale, a non bere come dei cammelli, a non guidare se incapaci di camminare in linea retta, a studiare.
Sono uscita da scuola telefonando a casa, senza baci o abbracci, salutando distrattamente con la mano chi mi urlava “buongiorno prooooof” per la strada, certa di rivederli di lì a cinque giorni. Sono uscita da scuola e basta, senza problemi, senza pensieri. Ci sono ritornata giorni dopo per riprendermi i libri in un silenzio irreale. Loro non c’erano più. Loro non torneranno, non torneremo, quest’anno, è ovvio, è scontato e se lo faremo sarà per un periodo troppo breve in cui faticheremo a ritrovarci.
Stiamo per entrare nel mese di aprile, il mese che – per chi condivide il delirante calendario degli insegnanti – è un mese che non c’è. Noi ci auguriamo buon anno a settembre, a ottobre conosciamo colleghi nuovi, a novembre diamo fuori di matto per fare tutto e a dicembre abbiamo l’unico mantra di finire ogni incombenza prima di Natale. A gennaio siamo triturati da un mare di burocrazia e scrutini, a febbraio ripartiamo con calma, a marzo, in teoria, ingraniamo una marcia in più perché poi è finita, poi c’è aprile, Pasqua, il 25, i ponti, le feste ed è già maggio, il terribile maggio, quello in cui bisogna finire tutto, quello conclusivo, il finale di stagione.
Giugno è più uno speciale con bonus track, gli scrutini finali, gli esami, i corsi di recupero, un respiro diverso. E invece, adesso, aprile mi sta davanti come il più crudele dei mesi, lungo eterno e senza scampo, senza certezze, senza di loro, che non ho neppure salutato come si deve e che magari rivedrò direttamente sul banco singolo il giorno del tema di maturità.
Ma per adesso non ce lo dicono. E’ un po’ come quando il moroso ti guarda negli occhi, ti spiega che dobbiamo parlare, ti dice che “non sei tu, sono io” e poi ti chiede una pausa di riflessione. Ecco, io mi sento così. Come se la scuola mi avesse chiesto una pausa di riflessione. Una pausa in cui continuo ad essere innamorata del mio lavoro, a spiegare, a correggere compiti, ma non è la stessa cosa.
Però non ce lo dicono, non chiaro, non ancora, e io che sono romantica ci credo. Ci credo che prima o poi torneremo, forse a maggio, forse a giugno, forse solo a settembre, e in quel caso qualcuno l’avrò davvero salutato troppo in fretta. Ma alla fine, io lo so, alla fine torneremo. Alla fine della pausa di riflessione torneremo insieme.
*professoressa presso l’Istituto professionale Lombardi (Vc). Autrice della pagina Facebook Portami Il Diario
L'articolo La scuola è come il moroso: mi ha chiesto una pausa di riflessione. Ma alla fine io lo so che torneremo insieme proviene da Il Fatto Quotidiano.
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