Se dico “penna” o se dico “cucchiaio”, do per scontato che il mio interlocutore capisca di cosa sto parlando e crei nella sua mente il giusto significato delle parole. Prevedevo questo meccanismo anche per il termine “femminicidio”, ma credo di aver esagerato con le aspettative. Mercoledì Libero ha titolato “Più maschicidi che femminicidi”, evocando la presunta evidenza dei fatti nelle statistiche.
Quali statistiche? I dati sono presenti nello studio Violenza domestica e di prossimità, i numeri oltre il genere a cura dell’Osservatorio Nazionale Sostegno delle Vittime, curato da Barbara Benedettelli, ex candidata di Fratelli d’Italia e tra i coniatori della parola “maschicidio”. Il punto focale riportato sul quotidiano riguarderebbe il numero annuale di uccisioni di uomini e donne, in famiglia, fra amici, sul luogo di lavoro (ecco il significato di “prossimità”). Ci sarebbe una sostanziale parità: 120 a 120, palla al centro. Anzi, balla al centro.
Per svelare la balla in questione non serve andare lontano, ci basta un dizionario. Femminicidio, “uccisione o violenza compiuta nei confronti di una donna , spec. quando il fatto di essere donna costituisce l’elemento scatenante dell’azione criminosa” (Zingarelli, 2016). Capite? Non è la rissa dopo il calcetto, non è nemmeno la coltellata del parente a cui non è andata una fetta di eredità e neanche la battuta di caccia tra amici finita male (certo, non per il cinghiale). Si tratta di donne uccise per motivi passionali, per gelosia, per non aver adempiuto ai cosiddetti “doveri coniugali”, per non aver taciuto all’ennesimo schiaffo.
Grafico Istat sui femminicidi
Come si vede da questa tabella Istat con rilevazioni del 2018, è vero sì che gli uomini muoiono di più, ma non si tratta di “maschicidi”. Basta guardare la colonnina dell’uccisione per mano di partner o ex per rendersene conto. Anche secondo i dati Eures del rapporto Femminicidio e violenza di genere in Italia dello scorso novembre, nel 2018 sono morte 142 donne per femminicidio, e l’85% dei casi sono registrati in famiglia. Perciò abbiamo avuto bisogno di una parola nuova, per denotare un abuso con radici più profonde, quelle che fanno credere a un uomo che la donna sia di sua proprietà. Femminicidio non è banalmente “omicidio di donna”. Fare informazione sorvolando su questo concetto, è grave. Le parole sono importanti, direbbe Nanni Moretti. Soprattutto se ci servono per battaglie giuste, aggiungo io.
Attenzione! Non sto negando che ci siano situazioni di abuso e manipolazione anche sugli uomini, anzi. Nei dati Istat, citati anche da Simona Pletto nell’articolo, si parla di più di 3 milioni di uomini maltrattati che non denunciano. Questo dato non viene sviscerato, però è in realtà importantissimo: anche gli uomini sono vittime della mentalità tossica del maschilismo. Colpevole è lo stereotipo che ci insegna che gli uomini soffrono in silenzio, che un vero uomo non si lascerebbe mai sopraffare da una femmina, che l’essere forzati a rapporti sessuali non consenzienti è solo una fortuna. Avercene, di mogli che ti obbligano a fare sesso anche quando non vuoi.
Signore e signori, questo è maschilismo. Lo stesso che ti fa pensare che la tua compagna non possa avere amici uomini, lo stesso che ti fa credere di avere potere sulle sue scelte riproduttive, o di poter controllare il suo conto in banca. Fa male a tutti. Sbarazziamocene una volta e per sempre. Insieme.
L'articolo I dati sui femminicidi spiegati a Libero proviene da Il Fatto Quotidiano.
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