Se si tracciasse una hit-parade dei Capodanni più malinconici, quello di Maria Rita Serra avrebbe molte chance di essere in cima alla classifica. Nata a Milano nel 1960, Rita nel 2008 viene licenziata dall’erboristeria in cui lavora. Non più giovanissima e separata, dopo aver accettato una serie di lavoretti sottopagati, decide di concedersi, con la liquidazione, un viaggio a Zanzibar (Tanzania). Parte e si innamora dell’Africa. Prende una casa in affitto e inizia a lavorare ospitando amici italiani in vacanza.

“Nel 2009 – racconta – mi innamorai di un ragazzo che mi corteggiava, Saidi Mohammed Kombo, e lo sposai, cosa che mi permise di avere gli stessi diritti dei residenti e di acquistare una proprietà. Mio padre aveva venduto la nostra casa in Sardegna e mi aveva mandato del denaro e con Saidi decidemmo di acquistare a Nungwi, la spiaggia più “in” di Zanzibar, una casa e tre piccoli lotti di terreno, per aprire un bar che sarebbe stato gestito da mio marito”.

Poco dopo però Rita capisce che forse non era stato solo l’amore a motivare le nozze. All’apertura del bar non si presenta nessuno: né i tre membri dello “staff”, né il marito-manager, che, da quel giorno, si fa vivo solo quando ha bisogno di soldi. “Nel 2010 ho chiesto il divorzio – racconta Rita – e ho messo in vendita la proprietà perché ho capito che da sola, non avrei mai potuto gestire un bar. Una donna sola, per di più divorziata, in paese musulmano, o si accoppia con qualcuno o viene considerata una poco di buono. La notte è degli uomini, specie quando si ubriacano. Dovevo per forza affidare il locale a qualcuno, ma questo voleva dire perdere la maggior parte dell’incasso” .

Nel 2012 Rita chiude il bar e poco dopo trasforma il locale in un B&B ma i gestori a cui lo affida si rivelano una delusione. Il primo – mi raccontata Rita – falsifica i documenti per intestarsi la proprietà e, cazziato per un’assenza, le rompe tre costole. Il secondo trasforma la guest-house in un bordello e dopo essere stato cacciato dalla polizia, torna con i famigliari per devastarlo. Nel 2016 Rita chiude definitivamente dopo aver subito, dice, mille angherie.

“All’inizio la strada era abbastanza tranquilla – racconta – ma con il passare del tempo, si è riempita di gazebo illegali, prostitute e ‘bodaboda’, i teppisti locali, dotati di moto, che offrono passaggi ai turisti. Nel giugno 2018, il vicepresidente di Zanzibar, Seif Ali Iddi, scortato da uno stormo di poliziotti irrompe nel quartiere e chiede ai residenti che la ‘muzungu’ (la straniera bianca) venga rispettata, ma tutto torna come prima. A quel punto Rita commette, senza saperlo, un errore fatale. Durante un’assemblea di piccoli proprietari esasperati dalla malavita, denuncia l’inefficienza della polizia e in particolare di un ufficiale . Il video, reperibile ancora su Youtube, diventa virale. Poco tempo dopo, l’autunno scorso, Rita viene raggiunta dagli uomini dell’immigrazione, messa in cella e rispedita in Italia come “persona non gradita”.

Oggi Rita non dorme sotto un ponte solo grazie a una colletta. Ho scritto per avere riscontri sulla vicenda all’ambasciatore italiano in Tanzania, Roberto Mengoni. Come risposta ho ricevuto una mail dell’ufficio stampa della Farnesina in cui si dichiara: “L’Ambasciata d’Italia in Tanzania, in raccordo con la Farnesina, ha seguito con la massima attenzione la vicenda della Signora Rita Serra e ha prestato ogni possibile assistenza. L’Ambasciata è a disposizione per agevolare il contatto della Signora con professionisti legali che possano effettuare una vendita della proprietà per procura”. Il problema è che Rita dichiara non avere neppure gli occhi per piangere e quindi ancor meno i soldi per pagare un legale che, sul posto, metta in vendita la sua casa.

Qui si pongono alcune domande:

1) l’Ambasciata poteva fare di più, oltre a quello che ha fatto, per tutelare Rita? Chi conosce l’Africa sa che in certi contesti, se non interviene la polizia, nessuno può far nulla;
2) Criticando apertamente la polizia, Rita si è chiusa ogni via d’uscita? Forse sì e, forse, costringerla a lasciare il paese, è stato, da parte delle autorità locali una dichiarazione di impotenza ma anche un modo per salvarle la pelle;
3) il governo italiano potrebbe esercitare la sua ‘moral suasion’ sulle autorità di Zanzibar per permettere a Rita di vendere la sua casa evitando che una concittadina venga espropriata? Forse un tentativo andrebbe fatto. Anche perché, se a Zanzibar contiamo così poco da non riuscire a ottenere neppure questo, siamo davvero sicuri che la nostra “moral suasion” fermerà la guerra in Libia?

L'articolo Espulsa dalla Tanzania per aver criticato la polizia. La disavventura di Maria Rita Serra proviene da Il Fatto Quotidiano.



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