“Nella mia famiglia c’era l’idea che ‘i sogni sono sogni’ e che bisogna ‘imparare l’arte e metterla da parte’, senza mai inseguire le proprie passioni. Ma venendo qua negli Stati Uniti ho capito che i sogni si possono realizzare, basta impegnarsi fino in fondo. E crederci”. Sara Alessandrini viene da un paesino vicino Cesena, ha 31 anni e da quattro vive a Los Angeles dove, grazie alla tenacia e alla passione per il cinema, è riuscita a diventare facility manager dell’Egyptian Theatre, la più antica sala di proiezione di Hollywood. “È nata negli anni ’20 – racconta –. All’epoca davano lo stesso film per un anno. Davanti allo schermo c’era un piccolo palcoscenico e prima di ogni proiezione mettevano in scena uno spettacolino”. Sara al telefono descrive un luogo magico, con un grande cortile per ospitare eventi all’esterno e un’ambientazione interna in pieno stile hollywoodiano. “Appena ci sono entrata ho capito che era il mio posto”, racconta, specificando che però arrivare fino a lì non è stato semplice.
“Sono cresciuta con la passione per tutto ciò che ruotava attorno a film e serie tv – dice Sara –. Era quasi un’ossessione. Guardavo le soap opera, come Sentieri, e ricreavo tutte le storie recitando”. Coltivare quest’istinto verso il cinema non è stata una passeggiata, soprattutto perché, racconta, la Romagna è una terra molto “tecnica”. “Qui sono tutti imbianchini, meccanici, contabili”, dice, spiegando così anche la sua scelta di frequentare prima l’Istituto tecnico industriale e poi la facoltà di Ingegneria, con l’intento di diventare insegnante. “Ero l’unica femmina in una classe di maschi. Sempre coccolata e con voti buoni. Ma le competenze acquisite all’epoca qui mi sono state utilissime”. Dopo quasi tre anni di Ingegneria – frequentata dando pochi esami, leggendo di nascosto sotto ai banchi libri di politica e di storia contemporanea e mantenendosi facendo il fattorino di pizze a domicilio – Sara decide di coltivare quella sua passione per il cinema e per quello che gli ruota intorno. “Andavo spesso da sola al cinema e addirittura avevo messo una televisione in macchina così mentre consegnavo pizze potevo vedere film. E poi era lo stesso periodo in cui Mariastella Gelmini annunciava tagli all’insegnamento. Così mi sono detta ‘se devo scegliere una strada difficile a questo punto inseguo il mio sogno, il cinema’”, racconta. È ottobre 2010 quando Sara lascia il paesino in provincia di Cesena per trasferirsi a Roma, a Cinecittà, dove si iscrive all’Accademia del Cinema, con indirizzo generico. “Era una scuola bellissima ma gestita male, tanto che ora non esiste più – racconta –. Gli ultimi mesi dovevi scegliere un settore e io alla fine scelsi montaggio video e suono”.
Lavorare in Italia nel mondo del cinema, anche se vieni da una scuola di Cinecittà, “non è così bello come tutti pensano”. “Ci sono università specifiche addirittura in Colombia – racconta amareggiata Sara –. Mentre in Italia o prendi un diploma come il mio, che però non è riconosciuto né equiparato a una facoltà, oppure studi critica, che però è diverso”. In ogni caso, l’Accademia frutta a Sara i primi contatti e i primi lavori, alcuni totalmente gratuiti, “per imparare il mestiere”, altri pagati miseramente. È a Boston, dove Sara si trasferisce per un mese per andare a trovare un amico, che capisce che tutti i sogni possono essere realizzati. “Da Boston sono andata a New York a un evento di beneficenza organizzato proprio dai protagonisti della fiction Sentieri. Quel giorno ho capito che non è così difficile realizzare i sogni. Ho capito quanto potevo essere potente”.
Quasi un anno dopo quel viaggio, dopo una parentesi infelice in Australia, nel marzo del 2015 riesce a trasferirsi negli Stati Uniti, a Los Angeles. “Per ottenere il visto lavorativo di un anno mi sono iscritta a un corso generico di “Entertainment studies”, tre sere a settimana. Ma vista la mia testardaggine, anche se dall’altra parte della città, ho deciso comunque di vivere a Hollywood”. L’incontro con l’Egyptian theatre avviene quasi per caso, semplicemente andando al cinema. “Mi sono subito innamorata. Dopo pochi mesi ero già volontaria. È lì che sono emersa”. Da volontaria dopo poco Sara ottiene un posto come barista, complice anche il suo impegno e le ore dedicate a quel luogo magico, strappando biglietti e spostando mobili per la ristrutturazione, gratis. “In quel periodo stavano rimodernando la sala proiezioni per poter ospitare anche la pellicola al nitrato. Avevano bisogno di qualcuno con competenze tecniche, così mi sono fatta avanti – racconta –. Sono subito stata notata e in poco tempo sono diventata assistente del manager”. Il lavoro però non basta per ottenere un visto. Così, perso il permesso, Sara deve trovare un’alternativa. “Mi sono iscritta a un corso di business e mi si è aperto un mondo. Grazie alla scuola potevo lavorare nel cinema con una specie di tirocinio, pagato però con uno stipendio normale”. Riottenuto il visto, sempre come studentessa, Sara viene nuovamente promossa a facility manager del cinema. “Praticamente cercavo problemi e li risolvevo. Ho riorganizzato le sale, ho sistemato quel che c’era da sistemare e dopo pochi mesi ho iniziato ad aiutare anche nel reparto marketing. Insomma facevo e faccio un po’ di tutto e mi piace quello che riesco a realizzare ogni giorno. Mi sono riscoperta manager e ho capito che ero nata manager”.
Da due anni e mezzo Sara ha realizzato il suo sogno, anche se, specifica, tutto potrebbe finire. “A dicembre mi scade il visto da studentessa perché finisco il corso. La mia permanenza è legata ai permessi”. Tornare non è nei piani. Lo stesso lavoro in Italia, anche se, per assurdo, fosse pagato 10mila euro al mese, non avrebbe lo stesso valore per lei. “In Italia c’è sempre qualcuno che ne sa più di te solo perché magari sei giovane – racconta –. Qui invece tutti possono avere una buona idea, esprimendo appieno il loro potenziale”. A mancare, secondo Sara, è soprattutto la possibilità di crescita che invece negli Usa è continua. Certo vivere a Los Angeles, anche se con un buono stipendio, maggiore rispetto agli standard italiani, non è semplice. “La vita è costosa, soprattutto se fai altro oltre il lavoro. Un esempio? Per una sera al cinema si spendono almeno 30 dollari”, racconta, ribadendo che comunque non ritornerebbe a Cesena. “Io adoro ciò che faccio qui. Non lo farei per un altro posto. Certo mi mancano le tagliatelle di mia zia Laura, ma provo a mangiare sano”.
L'articolo “A Los Angeles la mia passione per il cinema è lavoro. Qui posso esprimere il mio potenziale” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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