Fabbriche del gruppo Mahle in via di chiusura in Piemonte, 620 esuberi alla Bosch di Bari, produzione in calo del 30 per cento nello stabilimento Fca di Pratola Serra, nell’avellinese. Da nord a sud le aziende specializzate nella componentistica auto stanno iniziando a pagare il prezzo della grande fuga dal diesel. Da quando è scoppiato il caso mondiale dei dati sulle emissioni truccati dalla tedesca Volkswagen, infatti, il mercato europeo delle automobili a gasolio è passato dal 51,5% del 2015 al 35,4% del 2018. E quest’anno, complice l’economia stagnante, le cose non stanno migliorando. Soltanto in Italia le immatricolazioni sono calate del 22,9% nel giro di 10 mesi (pari a oltre mezzo milione di vetture in meno). Numeri devastanti per le circa 240 imprese presenti nel nostro Paese che secondo Anfia, l’Associazione nazionale della filiera automobilistica, danno lavoro a 25mila persone. “Per affrontare la crisi strutturale del diesel serve una strategia nazionale”, commenta a Ilfattoquotidiano.it il segretario della Fim Cisl Torino Claudio Chiarle. “Siamo in una fase critica dal punto di vista occupazionale”.

Gli esuberi nell’impianto pioniere del diesel di Bari
Il caso più emblematico è quello di Modugno (Bari), dove il gruppo Bosch possiede uno stabilimento in passato di proprietà della Fiat. Qui negli anni Novanta è stata inventata la pompa diesel ad alta pressione, un componente che oggi si ritrova praticamente in quasi tutti i motori. Già un paio d’anni fa, però, l’azienda aveva fatto presente al governo le sue difficoltà ipotizzando fino a 800 esuberi, poi rientrati grazie a un mix di cassa integrazione al 53%, permessi e ferie. Ma a giugno 2019 è arrivata la nuova doccia fredda: “Nonostante gli sforzi, le proiezioni della sovracapacità produttiva alla fine del 2022 raccontano di un potenziale esubero pari a circa 620 persone”, ha fatto sapere la multinazionale. Stime confermate nei giorni scorsi nell’incontro che si è tenuto presso la sede del ministero dello Sviluppo economico fra sindacati, azienda e Regione Puglia, tutto mentre nello stabilimento è stato indetto uno sciopero di 8 ore per protestare contro i tagli. Secondo i sindacati, l’avvio di una nuova linea produttiva per realizzare i componenti dei motori per le biciclette elettriche annunciata più volte da Bosch non è sufficiente per il rilancio dell’impianto.

La crisi di Mahle tra riduzione degli ordini e delocalizzazione
L’altra grande crisi finita in queste ore sul tavolo del governo è quella del colosso della componentistica Mahle. A fine ottobre i manager hanno annunciato l’imminente chiusura del sito di La Loggia, nel torinese, e della fonderia di Saluzzo (Cuneo) dove si realizzano pistoni per auto. Il motivo sembra essere ancora una volta la “riduzione del livello di ordini a livello europeo, principalmente nella produzione di motori diesel”. Eppure fonti della stessa azienda hanno confermato che sullo sfondo c’è la volontà di delocalizzare l’intera linea produttiva in Polonia. Per tamponare la situazione i sindacati hanno ottenuto la sospensione di 60 giorni della procedura di licenziamento per i 453 lavoratori coinvolti. “È un piccolo passo avanti, ottenuto anche grazie al lavoro svolto dal Mise, che disinnesca al momento le tensioni sociali”, è stato il commento della Fiom Cgil al termine delle trattative. Anche se “l’impatto sociale rischia di essere drammatico”.

Fca e Cnh industrial: due facce della stessa medaglia
A pagare il prezzo del Dieselgate è anche un big player come Fiat Chrysler. Nell’impianto di Pratola Serra, in provincia di Avellino, nel primo semestre del 2019 sono stati realizzati 150mila motori diesel, il 30% in meno rispetto allo stesso periodo del 2018. La situazione dovrebbe rientrare a partire dall’anno prossimo, quando verrà avviata la produzione di una nuova gamma di diesel Euro6d destinata al Ducato. Una decisione che però rischia di costare cara alla Cnh Industrial di Foggia, la quale fa capo alla stessa Fca ed è specializzata nei motori per mezzi commerciali e industriali. Qui i sindacati sono in allerta da mesi: all’interno del gruppo è in atto una riorganizzazione produttiva che potrebbe avere conseguenze anche per i lavoratori. Come nello stabilimento di Pregnana Milanese, adibito alla costruzione di motori marini, dove 150 dipendenti verranno messi in cassa integrazione in seguito allo stop della produzione.

Il sindacalista al Fatto.it: “Bisogna sviluppare nuove tecnologie”
“Il paradosso è che i motori diesel euro 6 inquinano meno della benzina. Ma lo scandalo partito dalla Germania ha inevitabilmente intaccato tutto il settore”, sottolinea Chiarle della Fim Cisl. “Di fronte a questa crisi epocale l’unica soluzione è sviluppare nuove tecnologie e riconvertire le produzioni”. A suo parere attorno al diesel “vanno costruite delle nuove possibilità”, perché è un settore “fondamentale per il nostro Paese”. Per capire quali possono essere le conseguenze del Dieselgate sulla filiera italiana della componentistica, infatti, basta guardare ai numeri. Nel 2018 il giro d’affari del settore automotive ha raggiunto i 46,5 miliardi di euro, mentre l’export ha toccato quota 22,4 miliardi. Il primo Paese di destinazione non a caso è la Germania, con una fetta di mercato pari al 20% del totale. Il che vuol dire che se le case automobilistiche tedesche affondano, trascinano giù anche le fornitrici italiane. È per questo che preoccupano le notizie provenienti dalla Germania: nelle ultime ore Daimler ha annunciato che entro il 2022 taglierà 10mila posti di lavoro. E lo stesso farà la rivale Audi.

L'articolo Auto, la crisi del diesel tedesco colpisce anche l’Italia: esuberi e fabbriche che chiudono tra riduzione degli ordini e delocalizzazioni proviene da Il Fatto Quotidiano.



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