Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, intervistato da Radio Capital, ha proposto a sorpresa di cambiare nome al suo partito. “Daremo vita a un nuovo partito che si chiamerà Partito democratico o quello che decideremo”, ha detto.
Quella di cambiare nome al Partito democratico è un’idea che aleggia da tempo al Nazareno, ma finché c’era Renzi non era mai stata presa sul serio. Oggi a proporla è il segretario del partito, nell’ottica di un restyling che comprenderà anche lo statuto, da fare orientativamente ad inizio 2020 in occasione di un congresso Pd.
In termini di consenso, quella di cambiare nome al Partito democratico è oggi una buona idea, per tre motivi.
1 – Il nome del Pd è ormai un marchio del diavolo
Nascosto sempre più spesso dai manifesti elettorali dei suoi candidati, il simbolo del Pd è associato alla vecchia politica, a scandali di ogni tipo, arresti e nefandezze varie.
Nel marketing politico, esattamente come in quello aziendale (una delle rare analogie) un logo non è solo un disegno, ma un simbolo nel suo vero senso, ovvero un segno che racchiude in sé dei valori, una storia (positiva o negativa che sia) e delle emozioni.
Che tipo di valori, storia ed emozioni racchiude oggi agli occhi dell’elettorato il simbolo del Partito democratico? Molto negativi. Se non puoi cambiare le persone, almeno cambia la veste.
2 – Il momento è giusto, occorre sfruttare l’alleanza col M5S per rifarsi l’immagine
Il Pd con il volto di Zingaretti ha recuperato consensi come dimostra la crescita alle elezioni Europee ed il sorpasso nei confronti del M5S. Nel voto in Umbria ha pesato lo scandalo nella sanità che ha coinvolto il Pd locale. Eppure rispetto alle europee il partito è sceso di poco.
Si può crescere ancora molto, e l’alleanza col M5S fa bene a tutti (tranne che ai 5 Stelle), come abbiamo visto con la Lega di Salvini che durante il periodo in cui hanno governato insieme ha raddoppiato i consensi, rispetto alle politiche del 2018.
L’abbraccio col M5S è salutare per tre motivi. Prima di tutto, ti toglie di mezzo un nemico – ora alleato – che ogni giorno ti attaccava. Il Pd non può ricevere attacchi dall’alleato di governo, come accadde a Salvini prima della rottura. Il secondo motivo è che, essendo liberi da scandali e potendo parlare ancora di onestà, i 5 Stelle danno una sorta di patente ai propri alleati, facendoli apparire come il meno peggio, un’alternativa. La Lega non era come il Pd, durante l’alleanza. Il Pd di oggi non è mafioso e corrotto come quello antecedente all’alleanza. Questo è il messaggio implicito.
Infine Nicola Zingaretti ha il merito di aver appoggiato Conte premier, il politico che gode di più fiducia da parte degli italiani. In questo preciso momento in cui il governo giallorosso va avanti, Zingaretti ha anche come leader in prima persona tutte le carte in regola per crescere ancora, se slega la sua immagine dal passato del Pd con un restyling.
3 – Con la nascita di Italia Viva ora il Pd ha due nemici
Oggi Salvini e Renzi attaccano il “Partito democratico”, un nome che tutti gli italiani conoscono. Dopo il cambio nome chi attaccheranno? Il nuovo nome del partito sarà meno conosciuto dalla popolazione, almeno per i primi mesi. Se invece decideranno di attaccare Zingaretti, la cosa non funzionerà molto, visto che ad oggi il segretario non ha scandali o vicende gravi da cui difendersi. Non è ancora un nemico pubblico.
Cambiare nome al Pd quando c’era ancora Renzi sarebbe servito a poco, essendo il suo stesso un nome molto polarizzante e poco amato. Attaccando Renzi, attaccavi il Pd. In buona parte valeva lo stesso per Maria Elena Boschi. Con la loro uscita ci sono tutte le condizioni ideali per un restyling che porti consensi.
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