Al presidente del consiglio, Giuseppe Conte;
al presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati,
al presidente della Camera, Roberto Fico;
al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede;
ai segretari, leader e capigruppo di tutti i partiti politici: Luigi Di Maio, Gianluca Perilli e Francesco Silvestri (Movimento 5 stelle), Nicola Zingaretti, Andrea Marcucci e Graziano Delrio (Pd), Pietro Grasso, Loredana De Petris e Federico Fornaro (LeU) Matteo Renzi, Davide Faraone e Maria Elena Boschi (Italia Viva), Matteo Salvini, Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari (Lega), Giorgia Meloni, Luca Ciriani e Francesco Lollobrigida (Fratelli d’Italia), Silvio Berlusconi, Anna Maria Bernini, Mariastella Gelmini (Forza Italia);
La Corte costituzionale ha stabilito che i boss mafiosi all’ergastolo per stragi e omicidi potranno ottenere permessi premio, anche se non collaborano con la giustizia. Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Grande Chambre, questo è un altro colpo mortale all’ergastolo “ostativo”: la condanna a vita che impedisce la concessione di benefici ai detenuti per mafia, stragi e omicidi che si rifiutano di rompere i legami con le organizzazioni criminali raccontando tutto quello che sanno. Si tratta di un crepa nella legislazione contro le cosche che rischia di allargarsi se la politica (e il governo) non interverranno subito.
La Consulta, infatti, ha dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis comma 1 dell’Ordinamento penitenziario “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”.
Ma come si fa a capire se boss all’ergastolo, come Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano, condannati per le stragi, stiano realmente compiendo un percorso rieducativo? Nei casi degli altri ergastolani “comuni” (per i quali già prima della sentenza della Consulta era permesso ottenere benefici) la valutazione si basa principalmente sul comportamento da loro tenuto in carcere. Un comportamento che per i boss mafiosi è, però, tradizionalmente sempre impeccabile. Come allora stabilire se un capomafia vuole cambiare davvero vita e non sta fingendo? È realmente possibile concedere benefici ai boss delle stragi, sebbene non abbiano raccontato i segreti di cui sono depositari? L’ergastolo ostativo era stato introdotto dopo la strage di Capaci. Da oggi in poi basterà invece trovare un giudice di sorveglianza che applichi pedissequamente la sentenza della Consulta per vedere mafiosi pericolossimi uscire dal carcere in permesso premio. Anche perché se un giudice da solo dovrà decidere se concedere un beneficio a un boss, sarà inevitabilmente esposto alle pressioni, ai ricatti, alle minacce di morte (per sé e i suoi familiari) e ai tentativi di corruzione dei clan.
È qui che entra in campo la politica. Se la Consulta ha considerato incostituzionale l’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario, il legislatore deve adoperarsi subito per approvare una nuova norma che stabilisca parametri e principi fissi da seguire per concedere o negare i permessi agli ergastolani “ostativi”. Una legge che li sottragga alla discrezionalità dei semplici giudici di sorveglianza sul “percorso rieducativo” e “l’attualità della partecipazione all’associazione criminale”.
“Mi aspetto e voglio un legislatore che riduca la fisarmonica del potere discrezionale del giudice”, ha detto per esempio Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro. “Spero che la politica sappia prontamente reagire e approvi le modifiche normative necessarie a evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all’ergastolo”, ha commentato Nino Di Matteo, componente del Csm ed esperto pm antimafia. Un altro membro di Palazzo dei Marescialli, Sebastiano Ardita, teme per la “pressione” che le organizzazioni mafiose potrebbero esercitare sui magistrati di sorveglianza. Ora, dice, “il legislatore ha il compito di modulare in concreto l’ampiezza di questa innovazione e impedire che quella che dovrebbe essere una eccezione diventi una regola, che va a beneficio di personaggi capaci di riorganizzare Cosa nostra e non rivolta a chi sta fuori dalla organizzazione”. Alfonso Sabella, l’ex pm che catturò decine di boss corleonesi latitanti, invoca una “norma salva-magistrati” che preveda una “competenza collegiale” e non monocratica, per non “personalizzare la decisione” e “diluire le responsabilità tra i magistrati e quindi proteggerli”.
Per questo, considerata la necessità e urgenza della lotta alla mafia, chiediamo una legge – o meglio ancora un decreto legge – che impedisca a capimafia e agli altri responsabili di stragi di truffare lo Stato, i magistrati e i cittadini onesti ottenendo permessi e altri benefici senza meritarli. Una norma che il Parlamento dovrebbe approvare all’unanimità.
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Peter Gomez, Marco Travaglio e le redazioni del Fatto Quotidiano e de ilfattoquotidiano.it
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