Ogni anno circa 11 milioni di persone richiedono cure mediche per ustioni: di queste il 95% vive in paesi poveri. Una crisi sanitaria silenziosa, che costituisce uno dei maggiori problemi mondiali: sono oltre 300mila le morti registrate ogni anno, soprattutto per le infezioni che insorgono alcuni giorni dopo l’incidente. I bambini sono i più colpiti, soprattutto quelli di età inferiore a cinque anni: nella regione africana l’Oms rileva un’incidenza delle morti infantili per ustione di due volte più alta rispetto ai bambini della stessa età in tutto il mondo.
Da questi dati è nato il progetto di Caterina, Franco e Barbara, neolaureati in ingegneria biomedica, legati dalla passione per la tecnologia e le problematiche sociali. I tre giovani hanno fondato una startup, Corax, che si occupa di progettare dispositivi medici a partire da contesti poveri di risorse.
“La discrepanza di assistenza sanitaria tra i vari paesi non è più accettabile”, spiegano su GoFundMe. “Il nostro desiderio è quello di offrire strumenti efficaci, a basso costo e utilizzabili anche nelle condizioni più estreme, in modo da migliorare le condizioni di salute nelle zone più povere del pianeta”.
Nasce così Lifebox, un dispositivo medico low cost che permette il trasporto in sicurezza e il trattamento dei bambini vittime di ustioni. Lifebox riproduce le caratteristiche di una stanza di degenza dei centri ustionati occidentali in uno spazio circoscritto al singolo paziente.
“L’idea è nata da un’esperienza di Caterina in Tanzania – raccontano sulla loro pagina – dove ha potuto notare che i luoghi insalubri dove vengono attualmente portati molti bambini ustionati, senza alcuna protezione da infezioni e ipotermia, sono le principali cause di morte per i pazienti”. Il dispositivo permetterà così di sopperire alla mancanza di strutture atte a prevenire le infezioni, di eliminare i trasporti per raggiungere gli ospedali e di ridurre i costi delle medicazioni.
“Vogliamo ultimare il prototipo che abbiamo progettato in modo da poterlo portare in Uganda e Tanzania: partiremo il 5 ottobre – affermano Caterina, Franco e Barbara – e andremo dove ci sono delle strutture sanitarie desiderose di confrontarsi con noi, che possono darci feedback fondamentali per realizzare un dispositivo efficace”.
Durante il viaggio potranno visitare cliniche e ospedali, incontrare medici, mostrare il prototipo. Insomma un modo per comprendere esigenze e criticità e soprattutto per capire come Lifebox possa adeguarsi al contesto. Per supportare il loro viaggio e il progetto è nato un crowdfunding.
L'articolo Africa, morire per ustioni perché mancano le strutture. Così tre italiani hanno creato Lifebox proviene da Il Fatto Quotidiano.
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