Le domande al fondo indennizzo risparmiatori (Fir), lo strumento creato dal governo e dotato di 1,575 miliardi nel triennio 2019-2021 per risarcire i risparmiatori coinvolti loro malgrado nei crac bancari del 2015-2017, potranno essere presentate entro 180 giorni dal 22 agosto scorso, il giorno successivo a quello in cui è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il terzo e definitivo decreto del ministero delle Finanze. Cade così l’ultimo diaframma che si frapponeva tra i fondi a disposizione per “i ristori” e gli azionisti e obbligazionisti subordinati di Banca Etruria, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, oltre che per gli azionisti di alcune banche di credito cooperativo: Banca Padovana, Bcc di Pelaco, Banca Popolare delle Province Calabre, BCC Banca Brutia e Credito Cooperativo Interprovinciale Veneto. Dopo il ritardo nell’attivazione della piattaforma digitale sul sito del Fondo indennizzo risparmiatori (Fir), lo strumento realizzato da Consap per presentare per via informatica le domande di rimborso da parte dei circa 300mila piccoli investitori coinvolti nei dissesti bancari del periodo 17 novembre 2015 – 31 dicembre 2017, sono emersi però altri grossi problemi. La piattaforma digitale di presentazione delle domande doveva essere messa online entro la scadenza inizialmente prevista per venerdì 26 luglio, ma è arrivata in ritardo: oggi però che finalmente è accessibile, si rivela troppo difficile da compilare. Non solo: il modello da riempire infatti contiene vere e proprie assurdità finanziarie e giuridiche, tanto da sollevare le proteste di numerosi risparmiatori coinvolti. Attenzione: meglio non improvvisare o andare a tentoni nella compilazione online, perché esistono rischi concreti di vedersi cassare le domande di rimborso senza possibilità di appello.
I problemi di compilazione delle domande online – I principali paradossi del sistema di presentazione delle domande online li indica Francesco Spallino, investitore azionario rimasto coinvolto nella “risoluzione” di Etruria datata 22 novembre 2015. Innanzitutto, per gli azionisti delle quattro banche risolte il 22 novembre 2015 (oltre a Etruria, Marche CariFe e CariChieti) che hanno avuto i titoli azionari cancellati nel 2017 non è possibile indicare nel modulo online della Consap quale sia l’istituto di credito sul quale sarebbero depositati perché non esiste una banca depositaria: i titoli sono stati cancellati dai conti titoli dei risparmiatori. Inoltre ogni giorno cambiano le domande del modulo da compilare per chiedere i rimborsi, via via che le segnalazioni sui problemi arrivano alla Consap, ma per i risparmiatori diventa sempre più complesso fornire le risposte richieste: invece di semplificarla, la compilazione della domanda online è resa sempre più complessa.
Ad esempio, con la prima versione del modulo online era quasi impossibile capire come inserire i dati su acquisti dello stesso titolo effettuati in tranche differenti, ovvero con prezzi e date diverse. Ora è stata introdotta la possibilità di inserire più date riferite agli acquisti di un singolo titolo dotato dello stesso codice identificativo Isin, ma nessuno pare avere considerato – ad esempio – il fatto che nel caso di Banca Etruria l’azione ha avuto due codici Isin diversi, attribuiti prima e dopo l’aumento di capitale del 2013. Questo complica la procedura di inserimento dei dati perché, a quanto pare, i dati relativi agli acquisti in più tranche erano stati immaginati solo nel caso di un unico codice Isin. Inoltre non è ancora chiaro come vada calcolato il patrimonio mobiliare del risparmiatore per capire se si è oppure no sotto i 100mila euro che consentono di aderire al rimborso con la formula del cosiddetto “binario diretto”, oppure se, nell’ipotesi di possedere un patrimonio mobiliare superiore a quella soglia, si finisce nel “canale normale” dei rimborsi.
Inoltre, sempre per stabilire se la domanda godrà del diritto di accedere al “binario diretto” dei rimborsi, il software prevede una maschera per indicare se il reddito sia superiore o inferiore all’Isee di 35mila euro: ma se si indica la risposta “sì” alla domanda, secondo alcuni risparmiatori il software non consente poi di rispondere “sì” alla seconda domanda relativa alla soglia del patrimonio mobiliare. C’è poi la questione delle deleghe: se si chiede il rimborso per conto di un famigliare occorre andare dal notaio per farsi certificare la firma. C’è inoltre la questione della data di valuta: se si inserisce online una data di acquisto della prima tranche di un titolo, il software non consente poi di inserire la data di valuta alla quale il titolo è stato pagato dal risparmiatore. Ancora, emerge la questione del “valore nominale residuo” dei titoli che va indicato nel software: ma se il titolo è stato azzerato e cancellato dai dossier titoli dei risparmiatori, quale valore si può indicare? Per alcuni va indicato zero, altri invece affermano che vada indicato nel software il valore perso nell’investimento. Infine, c’è la richiesta di attestare il fatto che si detengano i titoli nel momento in cui si presenta la documentazione allegata alla domanda. Questo paletto è stato reintrodotto dai decreti attuativi del Fir varati nel 2019 mentre nella legge Finanziaria del 2018 che istituiva in Fir si spiegava al comma 494 che potevano partecipare tutti i risparmiatori che detenevano i titoli azzerati “alla data del provvedimento di messa in liquidazione” (o “i loro successori aventi causa”): il che era molto più logico visto che i titoli azzerati sono stati poi cancellati dai conti titoli dei risparmiatori. Secondo alcuni però la richiesta di reintrodurre la prova del possesso dei titoli al momento della richiesta di rimborso e non alla data di liquidazione deriverebbe dal fatto che tra la messa in liquidazione delle banche e la presentazione delle domande sarebbero talvolta avvenute transazioni. Alcuni risparmiatori infine segnalano la mancanza di collaborazione delle banche depositarie dei titoli alle richieste avanzate dai risparmiatori di ottenere copia della documentazione necessaria a presentare la domanda al Fir: secondo alcuni, vi sono istituti di credito che invierebbero documentazioni incomplete sui titoli e le perfezionerebbero solo dopo molte richieste.
Attenzione agli errori: meglio aspettare i chiarimenti ufficiali – La questione è che se la domanda di rimborso viene presentata nel modo sbagliato, anche per semplici errori formali dovuti alle complessità di compilazione del sofwtare online, si rischia di vederla respinta. Inoltre la legge che ha istituito il Fir, così come i decreti attuativi, non hanno dato ai risparmiatori la possibilità di presentare appello in caso di respingimento della domanda di rimborso. Per questo motivo alcuni risparmiatori, tra i quali il Gruppo azionisti azzerati di Etruria, chiedono un incontro urgente a Consap per dettagliare tutti i problemi a chi ha creato il software online e ottenerne una modifica del software oltre a risposte e chiarimenti ufficiali. Ma non basta: alcuni avvocati, tra cui Letizia Vescovini del foro di Modena, esperta di diritto bancario finanziario e degli investimenti, su questo tema invitano i risparmiatori coinvolti alla pazienza. Non ha senso, secondo Vescovini, procedere troppo velocemente alla presentazione della domanda in assenza di chiarimenti ufficiali su questi aspetti, rischiando così di incorrere in errori che possono compromettere il diritto al rimborso. Conviene invece procedere con i tempi necessari alla raccolta dei documenti e alla presentazione di una domanda inattaccabile anche dal punto di vista formale, una volta che le risposte ufficiali di Consap e ministero saranno arrivate. Chi primo arriva, in questo caso, non è detto che alloggi bene.
L'articolo Truffati dalle banche, corsa a ostacoli per le domande di rimborso: rischio di rifiuto in caso di errori proviene da Il Fatto Quotidiano.
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