Addio al panino da casa in mensa. A mettere un punto alla vicenda della schiscetta è la Corte di Cassazione che ieri ha depositato la sentenza che accoglie il ricorso del ministero e del Comune di Torino. Siamo di fronte ad una sentenza che non tiene in considerazione la realtà.
I giudici scrivono che “la funzione pedagogica del tempo mensa è predicabile solo in termini di ristorazione collettiva nel contesto di un’offerta formativa a tale scopo organizzata”. E’ evidente che nessuno dei firmatari di questa sentenza è mai stato in una scuola nell’ora della mensa. Se ci fosse stato saprebbe che il principio della funzione pedagogica del tempo mensa è fasullo. Gli insegnanti che si trovano al tavolo con degli urlanti bambini altro non fanno che i guardiani strillando di “abbassare la voce”.
L’idea di far pranzare i docenti con gli alunni è semplicemente una furbata del legislatore che anziché spendere dei soldi per degli assistenti ha “ben” pensato di utilizzare i docenti. Ancora: la sentenza dice “che l’introduzione di vari e differenti pasti domestici nei locali scolastici inficia il diritto degli alunni e dei genitori alla piena attuazione egualitaria del progetto formativo comprensivo del servizio mensa, con possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche oltre che del diritto alla salute tenuto conto dei rischi igienico sanitari di una refezione individuale non controllata”.
Detto in altre parole la Cassazione in nome dell’uguaglianza preferisce che tutti mangino male piuttosto che vedere qualcuno mangiar bene. Dobbiamo, infatti, ricordare che la battaglia del pasto da casa nasce anche perché mamme e papà erano stanchi di vedere una scarsa qualità del cibo preparato che gioca sempre con appalti al ribasso. Inoltre si parla di condizioni igienico sanitarie: eppure quando si va in gita e tutti portano il panino da casa e nessuna autorità interviene.
Altra questione sollevata dalla Cassazione: “L’istituzione scolastica – affermano i giudici – è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità”. Certo, dal punto di vista del principio sarei d’accordo con la Cassazione. In una scuola dove la mensa funziona bene, dove la pasta non è servita scotta, dove non viene servita la minestra bollente anche a maggio, dove la frutta non è raccolta in bacinelle di plastica somiglianti a quelle per lavare i panni o alle latte di vernice, tutto dovrebbe concorrere ad un interesse comunitario ma la verità è che oggi le nostre mense scolastiche sono pessime ma pochi ne sono consapevoli.
La Legge nemmeno prevede l’istituzione delle commissioni mensa per obbligo, mancano controlli sul cibo, su come viene trasportato e servito. E allora se qualcuno preferisce portarsi un panino da casa non fa altro che difendersi, che tutelarsi, che provocare un dibattito che può giovare al miglioramento delle nostre mense
L'articolo No al panino da casa, il principio è giusto. Ma la Cassazione ha mai visto le mense scolastiche? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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