di Margherita Cavallaro
Lo so che è da un po’ che non ci sentiamo, ma non avrete mica pensato che avrei lasciato passare il mese del Pride senza nemmeno un blog, vero? Siamo a 50 anni dalle rivolte della Stonewall Inn e ci sono tantissimi temi di cui potrei trattare, tantissime cose che potrei spiegare, tantissime storie che potrei raccontare, ma una cosa mi sta inseguendo dall’ultima volta che sono tornata in Italia. Un mio parente, ascoltando non so quale programma alla radio che parlava di attacchi alle persone Lgbt, ha detto tutto tronfio la seguente frase: “Che lagna che fanno questi! L’omofobia non esiste!”. Siccome la persona in questione era alla guida di un veicolo in moto mi sono trattenuta dal soffiargli addosso e graffiargli gli occhi come un gatto idrofobo e ho invece fatto finta di dormire, dato che ero nel sedile posteriore.
Pochi giorni dopo quella perla di saggezza, l’universo ha deciso di rispondere alla chiamata e un ragazzo che conosco mi ha contattato in crisi perché finalmente aveva deciso di ammettere a se stesso che era gay. “Perché in crisi?” mi chiederete voi. Beh, perché questo ragazzo aveva il terrore che il padre l’avrebbe cacciato di casa, che il rapporto con i suoi amici di sempre sarebbe cambiato, che in qualche modo uscendo con degli uomini qualcuno al suo lavoro l’avrebbe scoperto e lui sarebbe stato licenziato dato che lavora anche con bambini e quotidianamente da anni sente battute di cattivo gusto fatte a scapito di omosessuali o presunti tali. C’è chi sostiene che l’omofobia non esista, eppure questa storia ne trasuda.
Partiamo dalle basi: omofobia vuol letteralmente dire “paura del simile”, ma viene anche usata come “paura degli omosessuali”. Ora prendiamo il gran tormentone “Beh, se picchio o insulto gli omosessuali sicuramente non mi fanno paura, magari mi fa solo schifo vederli”. Facciamo adesso finta che invece di omosessuali stiamo parlando di ragni. A me i ragni non fanno paura, ma non ne voglio addosso perché mi fanno un po’ schifo e se si avvicinano troppo prendo un pezzo di carta e li porto fuori (o semplicemente faccio finta che non abbiano la loro casa sull’angolo del soffitto e non li guardo). Una mia amica all’università era invece seriamente aracnofobica e una volta, mentre eravamo in un bar, ha visto un ragno sul tavolo. Non sto mentendo o esagerando quando dico che si è alzata di scatto, ha urlato insulti al ragno, gli ha tirato addosso un pacchetto di sigarette uccidendolo, ha preso l’accendino, dato fuoco al cadavere e poi schiccherato via i resti. Se davanti a due persone dello stesso sesso che si baciano o tengono per mano invece che al massimo girarti dall’altra parte hai una reazione così sproporzionata da dovergli urlare contro e picchiarli, allora sei omofobo proprio come la mia amica era aracnofobica.
Passiamo ora alla possibilità che amici con cui eri solito passare tempo e abbracciare non ti trattino più come prima. Perché? Perché poi magari pensano che ci stai provando con loro, anche se questa possibilità nella maggior parte dei casi non suscita scompensi se l’altra persona è del sesso opposto. Il problema allora è che queste persone possano aver paura che il gingillo omosessuale possa magicamente passare attraverso almeno due paia di jeans e mutande. Sapete quando la gente ha irrazionalmente paura che barriere protettive scompaiano? Quando ha una fobia, come ad esempio avere paura che le balaustre scompaiano mentre sei su un luogo alto perché soffri di vertigini. Se temi che magicamente ti si materializzi un cetriolo nel tubo di scarico anche indossando dei vestiti, allora sei un omofobo (ed egocentrico, perché non è che chiunque attratto dal tuo sesso di appartenenza debba per forza volerti portare a letto).
Riguardo la possibilità di essere licenziati vale quanto sopra: il proprio orientamento sessuale non influenza la performance di un impiegato, quindi evidentemente si tratterebbe (di nuovo) di una reazione sproporzionata e irrazionale, quindi omofoba. Riguardo il rapporto con i bambini non mi avventuro nemmeno perché fin troppi studi sono stati fatti per confutare che non c’è nessuna correlazione tra omosessualità e pedofilia, anzi circa il 90% dei pedofili (secondo studi di Nicholas Groth, pioniere nello studio degli abusi sessuali su minori) sono maschi in relazioni eterosessuali.
Per ultimo la cosa più sottile, la paura che l’essere omosessuali o meno possa avere un impatto così devastante sulla nostra vita. La paura che essere omosessuali sia tutto ciò che ci definirà da quel momento in avanti. La paura che essendo omosessuali tutto in e attorno a noi debba cambiare. Se tutte queste paure ci controllano, allora anche noi siamo omofobi perché questo è una fobia: una paura che non possiamo controllare e che, anzi, ci controlla.
Quindi, a 50 anni da Stonewall, c’è davvero ancora bisogno del Pride? Sì, perché l’omofobia esiste e non è solo quella che ci uccide fisicamente. Il Pride serve perché le nostre vite sono ancora controllate dalla paura e questa si combatte e sconfigge solo con l’amore (e tanto, tanto glitter).
L'articolo Gay pride, ma ce n’è davvero ancora bisogno? proviene da Il Fatto Quotidiano.
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