Quand’era componente del Csm avrebbe incassato “la somma pari ad euro 40mila per compiere un atto contrario ai doveri di ufficio”. Denaro ricevuto da Giuseppe Calafiore e Piero Amara – cioè i due avvocati al centro dell’inchiesta sulle sentenza comprate al Consiglio di Stato – “in concorso tra loro e con Giancarlo Longo“. Longo è un pm arrestato nel febbraio del 2018 insieme ad Amara. È per questo motivo il pm di Roma Luca Palamara è indagato dalla procura di Perugia per corruzione. Avrebbe ricevuto denaro per “agevolare e favorire il medesimo Longo nell’ambito della procedura di nomina del Procuratore di Gela alla quale aveva preso parte Longo, ciò in violazione dei criteri di nomina e selezione”. Longo non sarà mai nominato procuratore di Gela. L’accusa è contenuta nel decreto di perquisizione emesso a carico dello stesso Palamara, destinatario in giornata di un doppio blitz della Guardia di Finanza: nella sua abitazione e nel suo ufficio a piazzale Clodio. “Il numero di donativi – scrivono i pm di Perugia nel decreto di perquisizione – e il valore degli stessi non è, infatti, spiegabile sulla base di un mero rapporto di amicizia…”. Ma non solo nelle carte dell’inchiesta emergono anche le manovre per portare alla nomina alla stessa procura di Perugia di un magistrato che in qualche modo potesse essere “sensibile alla sua posizione procedimentale” e magari far aprire un procedimento contro l’aggiunto di Roma, Paolo Ielo, che aveva trasmesso gli atti su Palamara proprio a Perugia.
Il trojan e le utilità almeno dal 2011 – L’inchiesta della procura umbra – competente per i reati commessi dai pm romani – sta scuotendo l’ufficio inquirente della Capitale. Insieme a Palamara, infatti, sono indagati Stefano Fava, anche lui pm a Roma, e Luigi Spina, consigliere eletto del Csm da Unicost, la stessa corrente di Palamara. Spina e Fava sono indagati per rivelazione di segreto e favoreggiamento. Finiscono sotto inchiesta perché sul cellulare di Palamara era installato un trojan. Anche grazie al virus spia che gli inquirenti ricostruiscono “le utilità percepite nel corso degli anni” (stando alle indagini almeno dal 2011) da Palamara, “dai suoi conoscenti e familiari ed erogate” da Fabrizio Centofanti “appaiono direttamente collegate alla sua funzione di consigliere dell’organo di autogoverno della magistratura. Il numero di donativi e il valore degli stessi non è, infatti, spiegabile sulla base di un mero rapporto di amicizia”. Palamara, ex presidente dell’Anm, è stato componente di Palazzo dei Marescialli. Centofanti, imprenditore ed ex capo delle relazioni istituzionali del gruppo Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone, arrestato nel 2018 a Roma e scarcerato, è in attesa di giudizio. È legato ad Amara, avvocato che ha patteggiato tre anni per corruzione.
“L’anello da duemila euro” – Nel decreto di perquisizione gli investigatori sottolineano bisogna poi “tener conto che l’autore di tali emolumenti è un soggetto in stretti rapporti illeciti con imputati rei confessi del delitto di corruzione. Dal complesso delle indagini svolte dalle Procure di Roma e Messina è emerso che Centofanti era una sorta di anello di congiunzione tra Palamara e il duo Calafiore-Amara. Egli, infatti – si legge nel provvedimento- ha operato come rappresentante di tale centro di potere che, per come emerso ed accertato, ha operato sistematicamente mediante atti corruttivi di esponenti dell’Autorità Giudiziaria”.
Tra gli emolumenti c’è anche un anello da 2mila euro, che sarebbe stato destinato a un’amica di Palamara, Adele Attisani, che ne avrebbe anche parlato con Fabrizio Centofanti, indagato nella stessa inchiesta: “La Attisani – si legge nel provvedimento – veniva prelevata da un autista di Centofanti ed infine da questi raggiunta (a bordo del veicolo monitorato in viaggio verso l’aeroporto di Fiumicino); nel corso del tragitto emerge il chiaro riferimento della Attisani ad un gioiello che deve essere acquistato (“io non lo so se voglio il solitario …. io volevo una cosa più … sottile”)”. I due, proseguono i pm nel decreto, “fanno riferimento esplicito a una gioielleria che si trova a Misterbianco, e la Attisani invita l’amico a passarci (una volta evidentemente atterrati a Catania)”. Sul punto, prosegue il decreto, la polizia giudiziaria verificava che dalle intercettazioni “emergeva un messaggio inerente un pagamento del 15.9.2017 Pos di euro 2mila in favore” di una gioielleria di Misterbianco” e che l’utenza “monitorata in uso a Centofanti alle ore 17 .15 si trovava in una zona ubicata nei presso della predetta gioielleria”. Inoltre, ancora nelle intercettazioni, rilevano i pm, “sempre Attisani e Centofanti parlano della organizzazione della festa di compleanno della donna per il 6.10.2017 (il compleanno era il giorno 4.10.2017), dato dal quale può ipotizzarsi che l’acquisto del gioiello a Misterbianco per conto di “Lui” (che qui si assume essere Palamara Luca) sia avvenuto in vista del compleanno della donna”.
“Spina, Fava e la violazione di segreto” – Parallelamente all’ipotesi di corruzione, i pm di Perugia indagano anche per favoreggiamento e violazione di segreto. Grazie al virus spia installato nel telefono di Palamara, infatti, sono emerse “altre condotte delittuose di rivelazione di segreto di ufficio ascrivibili a Palamara in concorso con il consigliere del Csm Luigi Spina ed il sostituto procuratore della Repubblica di Roma Stefano Fava“. Dall’attività tecnica “emergevano consistenti e significativi contatti” tra Palamara e Spina, “consigliere del Csm in seno alla I Conmissione al quale Palamara è legato non solo da interessi legati al mondo della magistratura, come le nomine dei Procuratori della Repubblica di sedi vacanti, ma anche – si legge nel provvedimento – da un sottostante rapporto di natura personale e frequentazione anche al di fuori dell’ambito professionale”. Spina, annotato gli investigatori di Perugia, “rivela due circostanze coperte da segreto a Palamara: 1) che è stata depositata alla prima commissione dal Comitato di Presidenza un esposto del dott. Fava Stefano nei confronti dell’allora Procuratore della Repubblica di Roma e di un aggiunto; 2) che era stata inoltrata da questa Procura la comunicazione di iscrizione a carico di Palamara di un procedimento penale con allegata una nota redatta dalla polizia giudiziaria”.
“C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo”
Secondo i magistrati umbri, Fava avrebbe reso edotto Palamara dell’esposto contro Pignatone e Ielo inviato al Csm: “Fava, nell’intendimento di Palamara, sarà suo strumento per screditare il procuratore aggiunto” Paolo Ielo “che ha disposto, all’epoca, la trasmissione degli atti a Perugia”. Gli inquirenti sono convinti che “la consegna di queste carte ‘contro’ i suoi colleghi da parte di Fava e parimenti le informazioni assunte” dal consulente della procura che avrebbe spifferato a Palamara informazioni sul fratello di Ielo “abbiano per Palamara, nella sua ottica, un valore al contempo difensivo e forse di ‘ritorsione’“. Ciò per i magistrati umbri “emerge nitidamente dal colloquio che Palamara ha con l’amico Spina dopo le informazioni assunte sulle iniziative di questa procura”. Nel decreto viene riportato uno stralcio di questa intercettazione. Spina: “C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo e tutte le cose forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose perché noi a fava lo chiamiamo”. Palamara: “No, adesso lo devi chiamare altrimenti mi metto a fare il matto”.
L’interesse per l’esposto di Fava al Csm – L’esposto di Fava è quello inviato a fine marzo al Csm per segnalare un presunto conflitto d’interessi di Giuseppe Pignatone e Paolo Ielo, rispettivamente procuratore capo (da poco in pensione) e aggiunto, sulle indagini su Amara. Nell’avviso a comparire recapitato a Fava la stessa procura di Perugia – competente per i reati dei magistrati romani – considera “allo stato smentite dalla documentazione sin qui acquisita“. Dal decreto di perquisizione per il pm accusato di corruzione, invece, emerge il presunto “‘interesse di Palamara per la trattazione di un esposto che il dottor Fava aveva trasmesso al Consiglio Superiore della Magistratura. In tale atto, acquisito da quest’ufficio e pervenuto al Consiglio il 2 aprile 2019, venivano segnalate alcune ‘asserite’ anomalie commesse dall’allora Procuratore della Repubblica di Roma e da un aggiunto. I destinatari di tale esposto, come vedremo, verranno individuati da Palamara come i responsabili dei suoi problemi giudiziari”.
“Palamara voleva screditare Ielo” – E sempre di quell’esposto Palamara parla a un certo punto con Fava. In un distinto colloquio – annotano gli investigatori – Fava, che aveva seguito le iniziali indagini del procedimento 44630/2016 mod. 21 presso la Procura di Roma, rivelerà a Palamara anche i ‘destinatari‘ originari della nota della polizia giudiziaria, tra i quali il procuratore Aggiunto Paolo Ielo. A questo punto tornerà come argomento forte la vicenda dell’esposto di Fava che nell’intendimento di Palamara sarà suo strumento per screditare il Procuratore Aggiunto che ha disposto, all’epoca, la trasmissione degli atti a Perugia (rif. progressivo 15 del 16.5.2019 pagina 57 e progressivo 20 del 16.5.2019 pagina 66 in cui Palamara esclama “siccome un angelo custode ce l’ho io … sei spuntato te, m’è spuntato Stefano che è. il mio amico storico …” e Spina Io rassicura “Ma è spuntato Stefano adesso si va fino infondo … “). Tale dato -proseguono i magistrati di Perugia- emerge sia nelle citate comunicazioni con Spina, sia ancor di più nel progressivo 82 del 16.5.2019 intercorso con Fava, dal quale si ricava la consegna di carte da Fava a Palamara finalizzate a recare discredito al Procuratore Aggiunto Ielo”. In pratica era stato Ielo a girare a Perugia le carte sullo stesso Palamara. Per questo motivo il pm – secondo le accuse dei pm umbri – cercherà di screditarlo.
Le manovre per la nomina anche del procuratore di Perugia
C’è anche un altro particolare che emerge dal decreto di perquisizione ovvero il tentativo in qualche modo di entrare e interferire sulla nomina del procuratore capo di Perugia. È il 7 maggio quando Palamara fa riferimento “quella cosa” che Fava vuole mandare a Perugia e l’argomento nel quale si inserisce il riferimento è l’individuazione di un candidato da appoggiare da parte di Palamara per l’incarico del procuratore di Perugia; “ma io non c’ho nessuno a Perugia… zero” replica Palamara che si informa su uno dei tanti candidati, conosciuto e in contatto con il suo interlocutore. Nel corso della conversazione che prosegue “si comprende che, secondo il citato collega, Palamara non avrebbe alternative (per problemi e logiche di correnti qui irrilevanti) se non ‘appoggiare’ il candidato proprio di cui i due parlano e a quel punto – si legge nel decreto – l’indagato chiede esplicitamente al suo collega: chi glielo dice che deve fa quella cosa lì’, e a seguito di chiarimenti richiesti dall’interlocutore, infine chiarisce ‘eh deve aprire un procedimento penale su Ielo… cioè stiamo a parlà di questo …. non lo farà mai“. “Da tale conversazione, ma soprattutto quella del 16 maggio con Fava… traspare l’interesse di Palamara a che venga nominato un procuratore a Parugia che sia sensibile alla sua posizione procedimentale e all’apertura di un procedimento fondato sulle carte che Fava sarebbe intenzionato a trasmettere a tale ufficio”.
E infine concludono gli inquirenti: “L’intenzione di Palamara di raccogliere informazioni compromettenti sul conto del collega Ielo emerge da alcune conversazioni telefoniche” con un commercialista anche consulente della procura di Roma che a un certo punto gli dice di aver acquisito “informazioni” sul fratello di Ielo (che è un avvocato, ndr) “che potrebbero danneggiare quest’ultimo”. Un’ipotesi che va “accertata e verificata” chiosano gli inquirenti: “Che la consegna di queste carte ‘contro’ i suoi colleghi da parte di Fava e parimenti le informazioni assunte” dal commercialista “abbiano per Palamara, nelal sua ottica, un valore al contempo difensivo e forse di ‘ritorsione’, emerge nitidamente dai colloqui che Palamara ha con l’amico Spina dopo le informazioni assunte da questa procura”. E per questo che il decreto si chiude con uno stralcio di questa intercettazione. Spina: “C’avrai la tua rivincita perché si vedrà che chi ti sta fottendo e tutte le cose forse sarà lui a doversi difendere a Perugia, per altre cose perché noi a fava lo chiamiamo”. Palamara: “No, adesso lo devi chiamare altrimenti mi metto a fare il matto”.
“Palamara intercettato con due parlamentari” – Nelle 19 pagine del decreto di perquisizione, tra l’altro, c’è anche un riferimento a due parlamentari. Inizialmente non si capisce se ad essere ascoltati dagli inquirenti umbri siano anche i due esponenti politici presenti alla conversazione con i magistrati Spina e Palamara. Subito dopo la procura chiarisce che la coppia di parlamentari è finita casualmente nell’intercettazione perché la polizia giudiziaria non poteva prevederne la presenza. In particolare, scrivono i pm di Perugia, “in tale conversazione che intercorre tra Spina, Palamara, e due parlamentari, il primo comunica che all’esposto di Fava è allegato un Cd che sarebbe stato secretato. Tale conversazione, poi, dimostra come Palamara fosse già consapevole del suo procedimento pendente a Perugia (pagina 45, progressivo 40 del 9.5.2019 – “perché quel cazzo che m ‘hanno combinato lì a Perugia ancora nemmeno si sa“), tanto da parlarne con il parlamentare”.
L'articolo Procura di Roma, le accuse a Palamara: “Quand’era al Csm prese 40mila euro da Amara per favorire una nomina” proviene da Il Fatto Quotidiano.
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