Tra cataclismi annunciati e ritardi che, per ora, non si sono verificati, da pochi giorni si è messa in moto la macchina che porterà ad erogare il reddito di cittadinanza. Da oggi e per le prossime settimane ilfattoquotidiano.it farà raccontare questa macchina a chi la vive sulla propria pelle. A scrivere per noi Vera Eropo, necessario pseudonimo dietro cui si cela una reale cittadina del Centro Italia. Vera ha circa 40 anni, è laureata in discipline umanistiche, ma non ha un lavoro fisso né mezzi o immobili di proprietà. Ecco la sua storia.
Ho fatto la domanda per il reddito di cittadinanza. O meglio: ho iniziato la procedura necessaria a richiedere il reddito di cittadinanza andando al Caf. Devo ammettere che la mia idea sulla giornata era la seguente: gironi infernali pieni di disperati in fila con numeretti a tre cifre, code interminabili, vecchietti che erano andati lì alle sette di mattina e una lentezza esasperante che mi avrebbe fatto perdere tutta la mattinata. Quindi mi sono armata di santa pazienza e mi sono portata da leggere Voi umani di Matt Haig, anche perché non mi sentivo molto diversa da un alieno in missione su un pianeta di cui non conosce assolutamente nulla.
Gli umani del Caf, al contrario dei miei pregiudizi, sono organizzati abbastanza bene e sicuramente molto più organizzati di me: le persone vengono servite in ordine alfabetico, quindi la mia prima visita è molto veloce, si riduce soltanto a guardare un cartello e a memorizzare il giorno in cui tornare. Ne approfitto anche per scambiare qualche parola con gli umani in fila al Caf, in modo da tornare più preparata la prossima volta (fortuna vuole che sia il giorno seguente) e gli umani, con molta gentilezza, mi indicano un secondo cartello, in cui sono elencati tutti i requisiti per poter accedere al contributo. C’è tutto l’elenco che ho letto online: non possedere barche o automobili superiori a una certa cilindrata, Isee sotto i diecimila euro, beni immobiliari al di sotto dei trentamila euro, meno di seimila euro sul conto. Io il conto l’ho chiuso due mesi fa dopo che me lo avevano pignorato per una multa; erano rimasti poco più di undici euro che, tolte le spese per la chiusura, si sono trasformati in sette euro sotto forma di assegno recapitato direttamente a casa via posta. Ho pensato di andare al bar e pagarci il caffè, con l’assegno: mi immagino la faccia di Giorgio, il barista, mentre si rigira in mano l’assegno e mi guarda come a dire: e io che ci dovrei fare? Mi sarei divertita moltissimo, ma non l’ho ancora fatto, quell’assegno è ancora dentro un cassetto della scrivania, fino a quando non mi deciderò a fare la fila alla posta per incassarlo.
Questo per dire che sono abbondantemente al di sotto della soglia dei seimila. Non ho un’auto, né tantomeno una barca, e il mio Isee è ben al di sotto della soglia. Mentre guardo il foglio mi accorgo che sotto la voce Isee c’è un secondo elenco di documenti da portare: niente di sconvolgente, Cud e altre robe simili, a parte un punto dell’elenco che mi manda nel panico: saldo conto corrente al dicembre 2018 e giacenza media. Io il conto l’ho chiuso, non ce l’ho il conto, come faccio a fare l’estratto conto al 31/12/2018 di un conto che non ho più? Guarda tu se per una vecchia multa del 2013 mi si deve incasinare tutta la pratica del reddito di cittadinanza, mi maledico per tutte le volte che arrivavano i solleciti e prendevo tempo mentalmente dicendo che l’avrei pagata il mese successivo. Non è possibile, devo parlare con qualcuno, devo capire come risolvere questa situazione e quindi resto lì anche se il mio cognome inizia con un’altra lettera. Mentre aspetto inizio a cercare su Google: pare che si possa richiedere l’estratto conto di un conto chiuso anche cinque anni prima, si fa una richiesta alla banca e la banca ha novanta giorni di tempo per rispondere. Perfetto, se avessi novanta giorni di tempo e non uno.
Devo decidere se rimanere lì ad aspettare che esca qualcuno dalla porta e bloccarlo e far infuriare quelli che sono il fila con il cognome con la lettera giusta, per sentirmi dire, molto probabilmente, che devo fare richiesta alla banca, oppure precipitarmi in posta, fare la fila e sentirmi dire, molto probabilmente, che una volta fatta la richiesta di estratto conto me lo manderanno a casa entro novanta giorni. Faccio una foto al cartello con l’elenco della documentazione e decido per la seconda. Poi, mi viene l’illuminazione: la posta me li mandava sempre gli estratti conti cartacei, io li odiavo e mi dicevo sempre che fare la richiesta per l’estratto conto online, poi davo un’occhiata veloce per controllare che il conto non fosse in rosso e li buttavo.
Lascio stare anche la posta e torno a casa, mi ricordo che dopo l’assegno la posta mi ha mandato a casa un’altra lettera, con la comunicazione ufficiale della chiusura. L’ho aperta, come tutte le altre, ci ho dato un’occhiata e l’ho buttata nella differenziata della carta; ma è arrivata una settimana fa, deve essere ancora nel bustone della carta. Faccio la strada di ritorno quasi di corsa, come se il bustone fosse dotato di vita propria e potesse scappare da un momento all’altro. Lo capovolgo sul tavolo e inizio a frugare tra liste della spesa, cartoni del latte, appunti, i fogli inutili che accompagnano le bollette e rotoli di carta igienica finiti. E’ lì in mezzo, la prendo e inizio di nuovo a respirare. C’è l’estratto conto e il saldo al 31/12.
Il giorno dopo al Caf fila tutto liscio, il tizio si chiama Max ed avrà più o meno la mia età, sui quarant’anni: magro, alto, porta gli occhiali e sembra molto preparato. La sua sicurezza mi rassicura, anche se non abbiamo compilato i moduli per il reddito di cittadinanza ma quelli per l’Isee: ci vorrà circa una settimana per ottenerlo e poi finalmente potremo procedere a fare la domanda vera e propria.
L'articolo Ho deciso di chiedere il reddito di cittadinanza. Così, armata di santa pazienza, eccomi in fila al Caf proviene da Il Fatto Quotidiano.
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