Chi stamperà le tessere ricaricabili è l’ultimo dei problemi del reddito di cittadinanza. Il progetto continua a restare fumoso nei suoi tratti fondamentali ma si emergono già alcune serie questioni cui i Cinque Stelle dovrebbero porre rimedio finché sono ancora in tempo.

Secondo il Sole 24 Ore, nelle prime bozze del decreto legge sul reddito sono previsti incentivi per le imprese che assumono disoccupati di lunga durata, sopra i 24 mesi, pari a sei mensilità, tre mensilità per tutte le altre assunzioni.

Per non fare il bis di quanto visto negli anni renziani – incentivi a pioggia – bisogna assicurarsi che questi soldi vadano soltanto per assunzioni aggiuntive rispetto agli organici attuali. Oppure si cade nel solito rischio di trasformare l’incentivo in un mero sussidio: l’impresa non riconferma un contratto a termine (magari proprio per i nuovi vincoli del decreto Dignità) e assume il disoccupato beneficiario del reddito di cittadinanza. Zero nuova occupazione, ma risparmia. E per le mansioni a basso valore aggiunto, in cui la formazione acquisita vale poco, tutto il guadagno è per l’impresa mentre l’occupazione non aumenta. Da dove arriveranno questi soldi? Se dai 7,1 miliardi previsti per il reddito di cittadinanza (e non si vede da dove altro potrebbero arrivare, visto che nuovi stanziamenti sono esclusi), la platea dei beneficiari potenziali del sussidio si restringerebbe di molto.

Ora, il fatto che il numero di italiani che riceverà il reddito di cittadinanza possa essere, soprattutto all’inizio, molto limitato non è una tragedia. L’importante è che siano quelli giusti, cioè i più poveri. Secondo i calcoli dell’Alleanza contro la povertà, per sollevare le famiglie dalla povertà assoluto – l’incapacità di acquistare un paniere di beni e servizi essenziali – basta alzare l’importo medio mensile dell’attuale Reddito di inclusione (quello del governo Gentiloni) da 206 a 396 euro al mese. Per un single significa passare da 150 a 316 euro, per un nucleo di quattro persone da 263 a 454. “Il principio guida è l’adeguatezza: nessuno deve più restare privo delle risorse necessarie a raggiungere una condizione di vita minimamente accettabile, cioè ad uscire dalla povertà assoluta”, scrive l’Alleanza nel documento presentato al governo. 

Il reddito di cittadinanza versione Cinque Stelle rischia invece di essere troppo generoso ma poco mirato. Secondo la stima del Sole 24 Ore, per una famiglia con due genitori disoccupati, due figli a carico e con la casa in affitto arriva a 18mila euro annui. Una cifra assurda, che in molte zone d’Italia non è neppure confrontabile con i redditi da lavoro medi del territorio.

Questo genere di storture derivano dal fatto che tutto l’impianto è pensato per sostenere i disoccupati, non i poveri. Che a volte sono anche disoccupati, ma per conseguenza degli stessi fattori che li hanno resi poveri (dipendenze, traumi, solitudini, problemi sanitari o psichici) e che quindi non si salvano soltanto facendo loro l’offerta di un impiego.

Ossessionati dalla richiesta di vincoli e paletti che arriva dagli scettici (soprattutto al Nord), i Cinque Stelle hanno impostato il loro reddito di cittadinanza tutto sui centri per l’impiego e – ora – anche sulle agenzie del lavoro private, dimenticando completamente quelli che dovevano essere i primi beneficiari della misura, cioè i poveri. Fateci caso: in tv non avete mai sentito Luigi Di Maio o Laura Castelli parlare di assistenti sociali o sanitari. Perché dal loro orizzonte i poveri, che di quei servizi sono beneficiari a differenza dei disoccupati, sono scomparsi. Finora, con il Rei, sono stati gli assistenti sociali i primi a prendere in carico le famiglie che fanno domanda per il sussidio. E in cambio della carota dell’assegno mensile, riescono a mettere sotto controllo la situazione dei figli minori, a verificare le condizioni di vita in casa, a identificare eventuali situazioni di disagio. Tutte cose impossibili anche nell’ipotesi che il sistema di ricerca del lavoro e formazione funzioni perfettamente fin dal primo giorno. La app Ms Works dello Stato americano del Mississippi che è il modello di ispirazione dei Cinque Stelle aiuta a trovare il lavoro più compatibile con le proprie caratteristiche. Ma se il disoccupato è anche alcolizzato o se la disoccupata ha un familiare a carico che non sa a chi lasciare, la app miracolosa non risolverà i suoi problemi.

Il sottosegretario all’Economia M5s Laura Castelli, a Otto e Mezzo, non ha saputo rispondere alla domanda di Lilli Gruber: “State stampando le tessere per il reddito di cittadinanza?”. Ma la vera questione a cui lei, Di Maio e tutti gli altri dovrebbero affrontare è: “Che fine hanno fatto i poveri nel vostro reddito di cittadinanza?”.

L'articolo Reddito di cittadinanza: il problema sono i poveri, non le tessere proviene da Il Fatto Quotidiano.



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