Jair Bolsonaro, recentemente eletto alla presidenza del Brasile, non è solo un militare fascista che ha espresso il suo apprezzamento per Hitler, la tortura e i golpisti brasiliani degli anni Sessanta e Settanta, criticandoli anzi per non aver assassinato un numero sufficiente di persone. Non è solo un disgustoso omofobo e un cultore dello stupro come forma di rapporto tra i sessi. Non è solo un razzista che ritiene che i neri, gli indigeni e i poveri in genere costituiscano categorie inferiori. Non è solo un soggetto talmente estremista da far sembrare il nostro Salvini un sincero democratico. E’ certamente tutto questo, ma anche e soprattutto un adepto delle politiche neoliberali di privatizzazione, che si preannunciano nell’ordine dei cinquecento miliardi di dollari, così come si preannuncia il taglio di ogni sussidio sociale volto ad attenuare, sia pure in misura limitata, le spaventose disugaglianze sociali che colpiscono il Brasile, come altri Paesi dell’America Latina.
E’ bene sottolineare come con Bolsonaro si stia preparando un attacco frontale alle condizioni materiali di vita e ai diritti delle classi subalterne brasiliane, a beneficio di quella ristretta élite locale che, legata a filo doppio alle oligarchie internazionali, ha orientato il voto di milioni di soggetti inconsapevoli mediante il controllo dei media vecchi e nuovi. Ciò comporterà evidentemente una drastica diminuzione dei livelli di democrazia, a meno che non si voglia ridurre quest’ultima al “diritto” di esprimere ogni quattro o cinque anni la propria opzione su di un candidato alla presidenza.
Ciò conferma ancora una volta come sussista una contraddizione insanabile tra capitalismo e democrazia. Nei suoi momenti di crisi, specialmente, il capitalismo sfodera tutta la sua brutalità e rinuncia a ogni maschera di equità compassionevole. Le numerose aggressioni che si sono registrate negli ultimi mesi ai danni di militanti e simpatizzanti della sinistra potrebbero essere solo l’antipasto di una repressione generalizzata, e il rumore di sciabole è nettamente distinguibile anche a migliaia di chilometri di distanza.
L’elezione di Bolsonaro si rivelerà ben presto anche una vera e propria sciagura per l’ecosistema globale, dati i suoi orientamenti in materia di cambiamento climatico e il fatto che in Brasile sono situate alcune delle residue risorse strategiche globali che, a partire dall’Amazzonia, saranno con ogni probabilità sacrificate alle coltivazioni intensive e al profitto delle multinazionali da rapina. L’elezione di Bolsonaro sembrerebbe quindi destinata a confermare la tesi dell’incompatibilità tra sistema capitalistico e natura recentemente affacciata da uno studio delle Nazioni Unite, imprimendo anzi una drammatica accelerazione al processo di devastazione dell’ecosistema e costituendo in questo senso un passo avanti verso l’estinzione dell’umanità, perlomeno nella forma fin qui conosciuta.
Ultimo ma non meno importante, l’anticomunista viscerale Bolsonaro si è da tempo arruolato al servizio di Trump nella lista degli aspiranti aggressori al Venezuela chavista. In ciò si trova in compagnia di quell’altro campione di democrazia che risponde al nome di Duque, e che, oltre ad essere il delfino di Uribe, costituisce il degno rappresentante della Colombia nella quale oramai non si contano più i dirigenti sociali e democratici assassinati dai paramilitari.
Le anime belle che si stracciano oggi le vesti di fronte all’avvento del fascista Bolsonaro dovrebbero chiedersi come si sia potuto verificare un disastro del genere, in un Paese che pure, grazie alle politiche del PT e di Lula, candidato favorito defraudato della possibilità di presentarsi da una magistratura faziosa, aveva vissuto negli ultimi anni una stagione di crescita e democrazia.
La risposta, al di là dei temi irrisolti della corruzione e della criminalità, e al di là della crisi internazionale che ha avuto sul Brasile un impatto molto forte è nella feroce vendetta della classe dominante interna e internazionale che vuole riprendere per sé tutto il potere non lasciandone neanche un’ombra ad altri settori sociali. In una situazione del genere le mezze misure non servono. L’onda di destra è passata in Brasile come già in Argentina ed altrove. Resistono solo i governi che hanno saputo radicalizzare le proprie politiche per dare spazio effettivo agli interessi e i diritti delle ampie masse subalterne tradizionalmente escluse dal potere e dalla democrazia. L’insegnamento è quindi che la democrazia si difende solo consolidandola ed estendendola, dando voce in capitolo (e strumenti concreti di autodifesa, compresi quelli di carattere militare) a tutti i cittadini. O si ha il coraggio di compiere queste scelte di rottura oppure si rischia di finire, come oggi il Brasile, in mano a personaggi come Bolsonaro che per i motivi detti rappresenta un pericolo concreto per tutto il pianeta Terra e per l’avvenire stesso dell’umanità.
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