Caro Roberto,
siamo in piedi, in tantissimi. Uomini pubblici e non, ciascuno con il proprio peso, a bilanciare quest’Italia che rischia di ribaltarsi, naufraga di timonieri coscienziosi. Un Paese che è un migrante in balìa, sospinto da correnti inesorabili verso nuovi mondi ma schiavo di nostalgie vecchie.
Ti do il “Tu” di chi condivide qualcosa: in questo caso il tuo appello, un invito ad alzarsi in cui speravo. Chi ha più voce ha il dovere ad averne per gli altri.
Credo in quelle parole perché ancor di più credo nelle coscienze. Prima, molto molto prima che per la tua lettera, abbiamo tutti il dovere di non guardare muti ciò che sta accadendo, spettatori paganti del nostro Paese. Dobbiamo denunciare e agire perché è giusto. Perché non si lasciano gli uomini annaspare a largo, perché abbiamo già visto in che direzione puntava quell’indice contro il diverso. Le uova, i piombini, i colpi ad aria compressa, le botte, gli insulti, l’odio.
Ma gli appelli, caro Roberto, hanno la voce alta. E quando si alza la voce poi si sa come finisce.
Se l’Italia imbarca sempre più acqua è perché la faglia si allarga. La politica sta spaccando questo Paese; opinioni ostinate e critiche spietate, da una parte e dall’altra. Ogni separazione ha sempre due spinte opposte. Roberto, io credo che alzare i toni dello scontro faccia il gioco dell’odio. A ogni dura esclamazione d’accusa segue un’acclamazione uguale e contraria, che cieca giustifica l’ingiustificabile e annacqua il buonsenso. Punto e accapo, ancora peggio. So che nelle tue righe non c’è insulto, ma sai meglio di me che non servono brutte parole per colpire forte.
Al tuo appello io mi alzo in piedi, ma non voglio mettermi a gridare.
Faccio mea culpa: nell’impeto dell’indignazione, in molti abbiamo urlato soccorso per chi era in mare, mentre tanti continuano a chiedere aiuto da terra. A loro parla la politica delle menzogne: “Avete visto? A voi non ci pensano!”
È una lezione che ho imparato a Lampedusa: le tv, i doppiopetti, i mai più e i riflettori, arrivano sempre sulla scia dei barconi. Prima e dopo, il silenzio: e ai lampedusani dimenticati, chi ci pensa?
Considerare i migranti come un tema è un errore, perché vuol dire metterli da una parte, attaccarci un’etichetta. Loro e noi. Finché per altruismo o per razzismo i migranti saranno “i migranti”, non ci sarà soluzione. Prima che sulla pelle, la diversità sta nelle parole.
So che come pochi hai denunciato i molti mali d’Italia, ma sai meglio di me che è proprio adesso il momento di non cadere nella monotonia del “diverso”, che poi è il primo a non beneficiarne.
Al tuo appello io mi alzo in piedi, ma non voglio rimanere fermo sulle gambe.
Allora su, senza mai tacere. Ma anche senza cadere nella trappola dell’unico argomento, né diventare antagonisti di nessuno. Tolti tema e avversario, perfino al più bravo dei cantastorie non resta nulla da raccontare.
L'articolo Caro Saviano, io non sto zitto ma non voglio gridare come gli altri proviene da Il Fatto Quotidiano.
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