La proposta di taglio alle pensioni alte del ministro del Lavoro ripartisce i costi in maniera disuguale tra soggetti uguali, innescando probabili contenziosi. Meglio sarebbe agire sull’equità verticale, rispettando così anche il dettato costituzionale.

di Carlo Mazzaferro (Fonte: lavoce.info)

Proposta di taglio alle pensioni alte

Il ministro Di Maio ha di recente caldeggiato l’opportunità di tagliare dalle pensioni di importo superiore ai 4-5mila euro la quota in eccesso rispetto ai contributi versati nel corso della vita. La sua presa di posizione ha aperto una serie di questioni relative ai ritorni finanziari dell’operazione e agli eventuali vantaggi che i pensionati più poveri potrebbero trarre da questo “tesoretto”. Poco o nulla invece è stato detto sul principio di equità invocato per giustificare la politica.

La proposta del ministro fa implicito riferimento al concetto di “equità attuariale”, ovvero alla corrispettività tra la somma dei contributi versati e la somma delle pensioni ricevute nel corso della vita degli assicurati. Il taglio alle pensioni alte sarebbe ispirato a questo principio, che attualmente si applica in maniera estesa solo a coloro che hanno cominciato a lavorare e versare contributi per la pensione dopo il 1995, quando è stata introdotta la regola contributiva. I lavoratori più anziani – ricchi e meno ricchi – grazie a un’interpretazione generosa del concetto di diritto acquisito hanno potuto beneficiare di sconti che solo la vituperata riforma Fornero ha cercato di frenare, quando però era ormai troppo tardi.

Un ricalcolo che non dà equità

Per diventare operativa la proposta del ministro del Lavoro prevede che, per coloro che hanno assegni “sufficientemente” alti, si proceda a un ricalcolo della pensione (retributiva) con la regola contributiva. Il ricalcolo servirebbe a individuare l’ammontare del taglio che dovrebbe essere correlato all’eccesso di generosità garantito dal vecchio sistema. Di fatto, equivale a introdurre un’imposta patrimoniale sulla ricchezza pensionistica, ovvero proprio sulla somma complessiva delle pensioni ricevute nel corso della vita da un individuo. Disegnare l’imposta in modo equilibrato non è però un esercizio banale, soprattutto quando la base imponibile su cui si calcola l’ammontare della riduzione è l’importo annuale della pensione e non lo stock derivante dalla somma di tutte le pensioni ricevute nel corso della vita.

Da quanto si può capire dalle sue dichiarazioni, la proposta di Luigi Di Maio ripartisce i costi della sua politica in maniera disuguale a soggetti uguali e questo apre probabilmente spazio a potenziali contenziosi che, il passato ce lo insegna, potrebbero portare alla sconfessione della politica stessa, ad esempio da parte della Corte costituzionale.

È opportuno partire da una considerazione che può apparire banale, ma non è irrilevante: la somma complessiva delle pensioni ricevute da ogni assicurato viene liquidata anno per anno e non in un solo istante. Un ricco pensionato ottantenne avrà quindi liquidato una parte più importante della sua ricchezza pensionistica rispetto a quanto non abbia fatto della sua un altro ricco pensionato, ma di qualche anno più giovane.

Supponiamo, a mero scopo descrittivo, che ci siano due pensionati ricchi che abbiano avuto medesimo reddito da lavoro, abbiano versato uguali contributi nella fase attiva della loro vita e siano andati in pensione alla stessa età. L’unica differenza tra i due è l’anno di nascita. Di conseguenza, nell’anno in cui il ricalcolo viene effettuato, i due pensionati avranno età diverse. Supponiamo che il primo abbia 80 anni e il secondo 70 anni. Sempre per amore di semplicità, supponiamo anche che entrambi abbiano un’aspettativa di vita che li porterà a vivere fino a 85 anni. Il primo pensionato ha 5 anni di tempo per restituire quanto ingiustamente ricevuto sulla base della regola retributiva. Il secondo dovrà restituire la medesima somma in 15 anni. Si potrebbero invero generare situazioni ancora più paradossali: ad esempio un pensionato che avesse già ottenuto quanto gli spetta sulla base del ricalcolo potrebbe essere chiamato a restituire più del 100 per cento della sua pensione.

Se l’obiettivo è ridurre nello stesso modo la ricchezza pensionistica dei pensionati correnti e ricchi, allora, a parità di altre condizioni, ciò comporta che la dimensione del taglio della rata annuale di questa ricchezza, ovvero della pensione, deve essere tanto più alta quanto più anziano è il pensionato. In alternativa, a parità di taglio annuale della pensione, la dimensione della restituzione del “maltolto” sarà tanto più alta quanto più giovane è il pensionato. In entrambi i casi si fatica a trovare condivisibile e praticabile una regola che tratta gli uguali in maniera diseguale.

A difesa del provvedimento si potrebbe dire che tutte le riforme delle pensioni provocano una redistribuzione delle risorse tra generazioni. Meglio forse, allora, riferirsi ad altri aspetti dell’equità, ad esempio quella verticale, che risulterebbe anche più in linea con il dettato costituzionale.

L'articolo Pensioni d’oro, la riforma proposta da Di Maio rischia di essere iniqua proviene da Il Fatto Quotidiano.



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