Io non sono sempre d’accordo con Marco Travaglio. Non sono neppure d’accordo sulla sua battuta con l’uso della parola “acido”. A Palermo di vittime di mafia sciolte nell’acido ne abbiamo avute e credo che a questo paradosso molto forte si riferisse. Ma il punto per me è un altro: Lucia Annibali, avvocato, vittima del suo ex vendicativo, su vari quotidiani descritta come possibile candidata in quota Pd nelle prossime elezioni del 2018, è intervenuta spostando l’attenzione dalla critica alla legislatura del governo piddino alla violenza acidificatrice, orrenda e criminale, che lei ha subito.

Con tutto il rispetto per la Annibali vorrei dire che mi offende questo modo di tirare fuori la questione della violenza di genere finendo per stoppare e deviare la critica politica sulla attività di un partito o di un governo. Mi infastidisce il fatto che alcune donne facciano rimbalzare le critiche alle proprie scelte politiche con un “mi offende perché donna” e ancora di più mi infastidisce il fatto che si parli di violenza sulle donne, cosa che mi riguarda personalmente, finendo per accostare la vittima di un attacco maschilista e violento ad un governo che così assumerebbe una immagine rivisitata in chiave vittimistica.

Un po’ come quando il governo israeliano, che progetta e attua occupazioni perenni sui territori palestinesi, risponde alle critiche colpevolizzando chi le fa poiché gli ebrei furono vittime della Shoah. Su questo suggerisco la lettura del libro Critica della Vittima di Daniele Giglioli. Accostare la vittima ad una dubbia e opinabile questione politica fa acquisire a quest’ultima una sorta di pura verginità e innocenza. Diventa un modo per spostare l’attenzione. Una strategia legittima, certo, ma di strategia si tratta. La comunicazione d’altronde è un’arte e in questo senso va analizzata e decostruita secondo gli effetti che produce.

In Sicilia, per esempio, accostare una pratica politica alle vittime di mafia diventa sempre un modo per dare innocenza a personaggi politici e a partiti di vario tipo. Vi sono esponenti di destra, e per destra intendo fascisti, che da anni ormai vanno in pellegrinaggio in Israele e sono tra i più strenui sostenitori delle azioni politiche di quel governo. Ci sono partiti e politici che accostano la propria campagna elettorale non ai programmi che porteranno avanti ma all’emotività stimolata quando si parla di vittime di femminicidio. Ci sono donne che bloccano ogni possibile discorso politico, che si parli di economia o sanità o difesa o chi lo sa, a partire dal fatto che le donne sono vittime di violenza e dunque tutto quello che le donne – tutte le donne – fanno non sarebbe criticabile.

L’assunto per cui Donne=Vittime=Purezza serve anche nel caso in cui si eleggono donne come membri di un governo per beccare maggiore consenso, per dichiararsi aperti e progressisti e per dire che un governo formato da un certo numero di donne sarà certamente un governo modello. In passato parlavo di pinkwashing ed è un termine che bisogna usare ancora così come serve parlare del termine “femminicidio” come brand usato ormai anche nelle sfilate di moda per vendere abiti da sposa o in altre possibili promozioni con tanto di modelle con l’occhio nero per favorire la diffusione di una immagine glamourizzata della violenza di genere.

Si dice anche che parlare di violenza di genere sia una cosa che va in un’unica direzione ma il programma del piano antiviolenza, redatto dal basso, del movimento Non Una di Meno dimostra come le donne la pensino diversamente anche su questo. C’è chi desidera molta repressione e chi invece punta sulla prevenzione. Chi si affida a soluzioni securitarie e chi invece parla di educazione al rispetto dei generi nelle scuole. Da dire che la legislatura di cui parla Travaglio non ha accolto un solo punto di proposta per la lotta contro la violenza di genere.

Quello che infine volevo dire è che se domani Travaglio dirà, che so, che ci sono certe questioni politiche che vanno prese per la gola, non mi verrà affatto in mente di dirgli che ho rischiato di morire in quel modo perché mi serve discutere di politica e presentarmi come soggetto pensante che è altro rispetto alla vittima. Non mi sento tale, non mi interessa quel biglietto da visita. Voglio argomentare in modo diverso e lo faccio. Mi spiace dover ora sottolineare questo aspetto della mia vita superato ed elaborato da tempo. Dunque se dicesse una cosa simile chiederei di cosa parla. Se non mi troverò d’accordo potrei dirgli il perché: argomentare un perché no è più difficile rispetto ad un riferimento che tocca le viscere di chiunque. Io lo so. Sono certa che lo sa anche Lucia Annibali. Con l’augurio di una vittoria politica e con l’ammirazione e la stima per il suo coraggio e la sua determinazione.

L'articolo Lucia Annibali: la critica politica è una cosa, la violenza di genere un’altra proviene da Il Fatto Quotidiano.



from Il Fatto Quotidiano http://ift.tt/2zUmqJ0
via IFTTT http://ift.tt/eA8V8J
Share To:

Unknown

Post A Comment:

0 comments so far,add yours