febbraio 2018

Nel marzo 2015 una modella italiana denuncia Harvey Weinstein per molestie. Gli agenti della polizia di New York le chiedono di indossare un microfono nascosto e di tornare da lui. Sarà proprio quella registrazione, due anni e mezzo dopo, la prova-chiave che renderà credibili le denunce di decine di altre donne. Quella modella si chiama Ambra Battilana ed è la stessa che, assieme all’amica Chiara Danese, ha testimoniato contro Silvio Berlusconi nel processo per le notti di Arcore. Le due vicende sono ovviamente molto diverse tra loro. La sola cosa che le accomuna è la protagonista che può raccontarle entrambe. Asia Argento ha realizzato un’intervista esclusiva ad Ambra Battilana (leggi alcuni stralci), che qui proponiamo in video nella versione integrale. All’interno dell’intervista anche l’audio dell’incontro di Ambra Battilana con Weinstein registrato dalla polizia nel 2015. Giovedì 1 marzo il secondo video dell’intervista.

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A pochi giorni dalle elezioni, sindacati e Confindustria hanno trovato un accordo sul nuovo modello contrattuale e di relazioni industriali. L’intesa punta, sulla carta, ad aumentare i salari dei lavoratori in tempi di bassa inflazione. Ponendo un argine da un lato al dumping contrattuale dall’altro, come sottolinea un’analisi dell’agenzia Reuters, all’ingerenza della politica. Infatti il documento ribadisce la centralità del contratto nazionale di categoria che dovrà individuare il trattamento economico complessivo (Tec), comprensivo anche del welfare aziendale, e quello minimo (Tem). Stop, dunque, a proposte come quella del Pd di introdurre il salario minimo orario per legge. Il contratto nazionale dovrà anche incentivare il cosiddetto secondo livello di contrattazione, aziendale o territoriale, che consente una integrazione al salario sulla base della produttività del lavoro e dell‘impresa.

L’accordo sarà firmato dopo il voto, il 9 marzo, una volta ottenuto il via libera degli organi direttivi di Cgil, Cisl e Uil. Due le novità principali. La prima è l‘introduzione, per la prima volta, di un criterio di rappresentanza anche per le imprese, per arginare il proliferare dei cosiddetti accordi-pirata. Ovvero contratti stipulati tra sindacati e aziende scarsamente rappresentativi, che impongono ai lavoratori retribuzioni peggiorative rispetto ai contratti di settore. Un recente report del Cnel, ricorda Reuters, indica che su 868 contratti depositati, circa due terzi sono “pirata”.

Il secondo aspetto, più politico, è la volontà delle parti sociali di mantenere un ruolo centrale nella contrattazione a fronte della proposta dem di fissare un salario minimo legale. Nel programma elettorale del Pd si parla di introduzione del salario minimo garantito per tutti i lavoratori non coperti dal contratto collettivo, fissato da una commissione indipendente con sindacati e aziende. I sindacati non hanno fatto mai mistero di essere contrari alla proposta visto che circa l‘80% dei lavoratori è coperta da contratto collettivo e che l‘iniziativa secondo loro snatura il ruolo delle parti sociali.

La leader della Cgil, Susanna Camusso, ha ribadito: “Un netto no a qualsiasi intervento legislativo sul salario”. Di parere opposto è il presidente Inps Tito Boeri che ha parlato di “ipocrisia” dei sindacati perché spesso “per i contratti collettivi non vengono applicati i minimi”. Il tema è comunque centrale tanto che le parti sociali, a pochi giorni dal voto, hanno fatto la loro mossa.

TRATTAMENTO ECONOMICO E INFLAZIONE – Il trattamento economico complessivo sarà costituito, si legge nel testo, dal trattamento minimo tabellare e “da tutti quei trattamenti economici – nei quali, limitatamente a questi fini, sono da ricomprendere fra gli altri anche le eventuali forme di welfare – che il contratto collettivo nazionale di categoria qualificherà come ‘comuni a tutti i lavoratori del settore'”. Le singole categorie potranno anche modificare il Tem. Infatti, “il contratto collettivo nazionale di categoria individuerà i minimi tabellari per il periodo di vigenza contrattuale, intesi quali trattamento economico minimo (Tem). La variazione dei valori del Tem (minimi tabellari) avverrà – secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli Ccnl – in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i paesi membri della Comunità europea, depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’Istat”. E “il contratto collettivo nazionale di categoria, in ragione dei processi di trasformazione e/o di innovazione organizzativa, potrà modificare il valore del Tem”. Il contratto nazionale evidenzierà anche “la durata e la causa di tali trattamenti economici e il livello di contrattazione a cui vengono affidati dovendosi, comunque, disciplinare, per i medesimi trattamenti, gli eventuali effetti economici in sommatoria fra il primo e il secondo livello di contrattazione”.

SECONDO LIVELLO E PRODUTTIVITA’ – Il contratto nazionale spinge anche il secondo livello e la produttività. Infatti, si afferma, “dovrà incentivare lo sviluppo virtuoso – quantitativo e qualitativo – della contrattazione di secondo livello, orientando le intese aziendali, ovvero quelle territoriali (laddove esistenti), verso il riconoscimento di trattamenti economici strettamente legati a reali e concordati obiettivi di crescita della produttività aziendale, di qualità, di efficienza, di redditività, di innovazione, valorizzando i processi di digitalizzazione e favorendo forme e modalità di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori”.

RAPPRESENTANZA IMPRESE CONTRO DUMPING – Si definisce la misurazione della rappresentanza anche per le imprese. E si contrasta il dumping contrattuale, ovvero la proliferazione di contratti firmati da organizzazioni non rappresentative. “Conoscere l’effettivo livello di rappresentanza di entrambe le parti stipulanti un Ccnl, infatti, è indispensabile se si vuole davvero contrastare la proliferazione di contratti collettivi, stipulati da soggetti senza nessuna rappresentanza certificata, finalizzati esclusivamente a dare copertura formale a situazioni di vero e proprio dumping contrattuale che alterano la concorrenza fra imprese e danneggiano lavoratrici e lavoratori”.

L'articolo Lavoro, accordo sindacati-Confindustria: “Stop ai contratti pirata. E no alla legge sul salario orario minimo” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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“Di Maio propone un ministro dell’Economia, il professore Lorenzo Fioramonti, docente a Pretoria in Sudafrica, che applica il boicottaggio di Israele”. A poche ore dall’annuncio di alcuni dei membri dell’eventuale squadra di governo 5 stelle, il Pd attacca il candidato M5s e nome designato come titolare del dicastero allo Sviluppo economico. Il deputato uscente Emanuele Fiano infatti, riportando un’intervista del docente al giornale online The Daily Vox dell’11 febbraio 2016, ha riferito che due anni fa Fioramonti annullò la sua partecipazione al Water Summit 2016. Il motivo ufficiale, spiegato dallo stesso professore, era che tra i relatori c’era anche l’ambasciatore di Israele in Sudafrica Arthur Lenk. Una polemica che ha provocato la reazione anche di Pagine ebraiche 24, quotidiano dell’ebraismo italiano edito dall’Ucei: “Inquietudine e indignazione”, hanno scritto. Il leader Di Maio ha però replicato poco dopo al Forum Live Facebook-Ansa: “E’ una notizia non vera. Il Movimento non è contro Israele, è contro il boicottaggio e non ha un ministro contro Israele. Fioramonti ha già chiarito quella vicenda e telefonerà all’ambasciatore per chiarire. Mi dispiace che si segua la strumentalizzazione del Pd contro i miei ministri”. Lo stesso Fioramonti ha specificato: “Strumentalizzazione senza precedenti da parte di una specifica parte politica. E’ davvero triste che qualcuno prenda a pretesto un tema così delicato per muovere attacchi contro la mia persona e contro Luigi Di Maio. Tra l’altro proprio io, che per anni ho collaborato con le associazioni per l’amicizia ebraico-cristiano quando ero un giovane universitario ed ho collaborato con una università israeliana come studioso. Tutto quel che sta accadendo è surreale. Non ho mai sostenuto e non sostengo tutt’oggi, ovviamente, alcun boicottaggio nei confronti di Israele. Al contrario, ritengo che lo sviluppo e la crescita dell’economia globale passi proprio attraverso la cooperazione e la partecipazione di tutti. Israele è e resta un partner importante dell’Italia nel lungo percorso di crescita che vogliamo intraprendere”.

Il fatto – Il professore, invitato all’evento come esperto sulla crisi della gestione dell’acqua a livello mondiale, dopo la rinuncia aveva spiegato la sua posizione al quotidiano The Daily Vox. Una delle prime criticità che aveva evidenziato era stato il fatto che i partecipanti al Summit avrebbero dovuto pagare 50 dollari per entrare. “Questo”, aveva dichiarato Fioramonti, “taglia fuori inevitabilmente molte voci della società civile e i singoli cittadini interessati a partecipare a un dibattito aperto a proposito del futuro dell’acqua in questo Paese. Inoltre”, continuava, “ho scoperto dalla stampa, che un esponente ufficiale da Israele parteciperà al panel, a quanto pare per presentare i successi di Israele nella desalinizzazione e nell’irrigazione come una best practice da seguire in Sudafrica. Nessun esperto africano è stato invitato a parlare. Nessuno dei comitati per l’acqua o delle amministrazione locali, che si trovano a dover gestire le carenze di acqua ogni giorno e che hanno bisogno di essere coinvolti in un dibattito pubblico sul futuro di questa preziosa risorsa. Questo è stato molto problematico per me”. Secondo Fioramonti, una tassa così alta per partecipare fu un modo per trasformare l’evento in un “talk shop” per le classi benestanti. “Inoltre, c’è un boicottaggio accademico internazionale contro i rappresentanti ufficiali di Israele, che è supportato dai gruppi progressisti sia in Israele che in Palestina, e ha molto supporto anche in Sudafrica. Il boicottaggio è la chiave per aiutare la battaglia per una pace sostenibile ed equa in Medio Oriente, sottolineando come dietro la facciata di soluzioni tecnologiche si nasconde uno sfruttamenteo sistematico delle comunità palestinesi”. E poi continua: “Ritirando la mia partecipazione, io sto delegittimando il summit come luogo appropriato all’interno del quale discutere il futuro dell’acqua in Sudafrica”. In particolare, nel merito sulla posizione di Israele, disse: “Non possiamo ignorare che, al di là delle specificità tecnologiche del governo israeliano, sono basate su politiche oppressive e inique”.

Le polemiche politiche – Per Fiano è una “vergogna senza scusanti”: “Un fatto gravissimo, immorale. Prima di qualsiasi ipotesi di notizie false, Luigi di Maio e il professor Fioramonti ci spieghino la loro posizione sul tema BDS, il boicottaggio di Israele”. A commentare la notizia anche Pagine ebraiche 24, quotidiano dell’ebraismo italiano edito dall’Ucei: “Ha destato inquietudine e indignazione nel mondo ebraico italiano la notizia della candidatura di Lorenzo Fioramonti, docente di economia contraddistintosi in passato per aver sostenuto la campagna d’odio e boicottaggio contro Israele”. In sostegno di Fiano anche il deputato dem Michele Anzaldi: “Dopo ore da denuncia della rete e di Fiano non sono ancora arrivate né le scuse né retromarcia”, ha scritto su Twitter. “Perché tace? Silenzio strizza occhio a antisemitismo”. Così anche il dem Ernesto Carbone: “Ora Di Maio cerca di svicolare parlando di chiarimenti che però, come al solito, non chiariscono. Insomma nel pantheon grillino entrano anche gli antisemiti. Una bella squadra in linea con le posizioni assunte nel tempo dal movimento”.

La notizia rilanciata in piena campagna elettorale ha scatenato anche il centrodestra: “L’idea di promuovere a ministro dello Sviluppo economico di un Paese democratico, civile e occidentale una persona che sostiene il boicottaggio di Israele”, ha detto Mara Carfagna, portavoce dei deputati di Forza Italia, “è inaccettabile fosse pure come membro di un ‘governo per caso’ che non vedrà mai la luce. Aspettiamo chiarimenti e scuse da Luigi Di Maio che, evidentemente, si è messo a scherzare col fuoco dell’antisionismo. Non si tratta di una semplice gaffe come tutte le altre fatte finora, ma di un errore politico grave che ci ricorda ancora una volta quanto stia rischiando l’Italia e che i Cinquestelle sono un pericolo per il Paese e per le sue relazioni internazionali”.

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Le due coppie reali insieme. Kate Middleton e il principe William insieme a Meghan Markle e al principe Harry al Royal Foundation forum. Dopo l’annuncio del fidanzamento tra Harry e la bella Meghan è la prima volta che i quattro si fanno vedere insieme: è la seconda uscita pubblica per quelli che la stampa inglese ha ribattezzato ‘Fab Four‘. E i fotografi, naturalmente, ringraziano.

 

 

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Pif non resiste dal testimoniare con un suo personalissimo diario le elezioni politiche, mentre De André diventa una fiction su RaiUno. Ritorna Alessandro Cattelan con lo show che porta il suo nome e Manuel Agnelli cerca un po’ di Ossigeno in Rai. E poi il tormentone di SanRemo 2018 con il suo messaggio d’avanguardia che nasce fuori dal palco dell’Ariston e viaggia sul web con i The Jackal che rapiscono Favino e collaborano con Pippo Baudo.

Il Candidato va alla elezioni (Tv8)

Davide Venturi: Pif avvicina la politica allo spettatore più di quanto riescano i politici stessi. La sua buona tv cambia il punto di vista, mentre la vecchia tribuna politica non ne ha il tempo – Voto 7,5

Riccardo Marra: La ricetta è quella de Il Testimone o del Marziano, quelli di Pif sono occhi necessari, peccato (o per fortuna?) che nella TV di oggi sono solo due – Voto 8

E poi c’è Cattelan – 4a stagione (Sky)

DV: Abolito il tempo morto, rinviate al mittente le solite domande e la prova della Gabanelli sulla differenziata è da Oscar Tv. – Voto 7

RM: Nulla, non ce la faccio. Dovrei essere più moderato, ma quello di Cattelan è uno show di cui sono dipendente quasi fosse una serie TV. Giochi, belle chiacchiere, zero buonismo – Voto 9

Fabrizio De André – Principe Libero (RaiUno)

DV: Andresti a donne con un manuale di diritto? Dice De André al fratello. Bella fiction, ma per raccontare Faber non era il linguaggio adatto – Voto 6-

RM: D’accordo con te. Assente ingiustificata la poesia, assente la fascinazione di un autore controverso. La fiction TV appiattisce anche l’interpretazione magistrale di Luca Marinelli – Voto 5

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Era il tutore di oltre 60 persone, alcune delle quali gravemente malate, e grazie alla sua funzione, su nomina del giudice tutelare di Varese, le ha derubate. Stefania Federici, già assessore ai Servizi Sociali a Cassano Magnago (2007-2012) e candidata sindaco della Lega Nord nel 2012, come riporta Varesenews, è stata arrestata per peculato dagli uomini dell Guardia di Finanza di Gallarate nell’ambito dell’inchiesta del pm Francesca Parola. Secondo gli accertamenti delle Fiamme Gialle con i soldi rubati, oltre un milione e 200mila euro, si era pagata il mutuo della casa. Il denaro sarebbe stato speso anche per giocare alle slot machine e comprasi una automobile. Alla donna è anche l’abuso d’ufficio – per essersi intestata una polizza vita dle valore di 350mila euiro del proprio “amministrato”. La polizza è stata sequestrata come anche altri beni per quasi 600 mila euro, conti correnti e 78 quadri, alcuni di valore e altri da valutare.

Ai domiciliari, invece, su ordine del gip. è finita una funzionaria della Procura di Busto Arsizio. All’indagata sono contestati l’accesso abusivo al sistema informatico della Procura in tre occasioni, rivelazione di segreti d’ufficio, corruzione, abuso d’ufficio, ricettazione, reato elettorale. L’indagata, invece, che avrebbe ricevuto incarichi pubblici in cambio di informazioni riservate, “avrebbe favorito il datore di lavoro del proprio coniuge in un’operazione immobiliare – si legge in una nota degli investigatori –  facendo sottostimare un immobile amministrato” dalla Federici per conto di un suo assistito, che poi sarebbe stato alienato e venduto all’imprenditore. La funzionaria, che alle ultime elezioni si era presentata in una lista di sole donne, si sarebbe anche sostituita nella votazione ad altra persona, senza alcun titolo legittimante e “col solo scopo di ottenere a proprio vantaggio il voto elettorale”. In totale sono cinque gli indagati.

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Tra la folla giunta ad ascoltarlo al congresso provinciale dell’Akp nella provincia meridionale di Kahramanmaras, Recep Tayyip Erdogan intravede una bambina vestita in uniforme militare con un berretto marrone, simbolo delle forze speciali di Ankara appena entrate nell’enclave curdo-siriana di Afrin per portare l’assedio al suo centro urbano. Il presidente turco la fa portare sul palco, per indicarla come simbolo delle nuove generazioni pronte a combattere per la patria, ma la piccola Amine Tiras, 6 anni appena, scoppia a piangere, impaurita forse dall’attenzione di centinaia di persone.

Erdogan cerca quindi di rassicurarla, la bacia sulle guance e la abbraccia, dicendole che “i berretti marroni non piangono”. Poi, indica la bandiera turca sulla sua uniforme e arringa la folla: “Se diventerà una martire, con il volere di Dio, sarà avvolta nella bandiera. Lei è pronta a tutto. E voi lo siete?”.

L’episodio, avvenuto sabato, sta suscitando in queste ore forti polemiche sui social media turchi, dove molti utenti criticano il presidente per la scarsa sensibilità verso la bimba. Erdogan, però, non sembra preoccuparsene troppo. In Turchia il sostegno all’operazione militare è molto forte, e lo stesso presidente sembra pronto a coglierne i frutti, accelerando in questi giorni sulla creazione dell’alleanza elettorale con gli ex lupi grigi dell’Mhp.

L'articolo Turchia, la mascotte delle forze speciali è in lacrime. Erdogan le augura il martirio: “Sarai avvolta nella bandiera” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Vi siete mai chiesti se un gigante di due metri e trentatré centimetri può salire al posto di guida di un’utilitaria? E’ quanto ha fatto Chris Stonebraker per il canale Youtube MaxPreps, da anni impegnato a seguire i giovani talenti dello sport americano. Il sedicenne Robert Bobroczkyi, giocatore di basket rumeno e teenager più alto al mondo si è prestato per l’esperimento. La giovane promessa del basket americano, che attualmente gioca per il liceo Spire Institute di Geneva, in Ohio, dopo alcune manovre e accartocciandosi un po’, riesce a vincere la sfida

L'articolo Il sedicenne più alto del mondo: “Ecco come mi metto al volante”. La promessa del basket in 2 metri e 33 di autoironia proviene da Il Fatto Quotidiano.



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Cospargevano le sue caviglie di benzina e le davano fuoco. E poi schiaffi, pugni, violenze. Sempre tra le mura di casa, sempre da parte dei suoi famigliari. Solo perché omosessuale. È quanto ha segnalato un ragazzo di 14 anni della provincia di Napoli alla Gay Help Line.

Così è partito l’iter che ha portato alla denuncia tramite un esposto fatto da Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, che, con il supporto legale di Arcigay a Napoli, ha formalizzato alle forze dell’ordine quanto raccontato dal ragazzo con il supporto congiunto del Miur e dell’Osservatorio contro le discriminazioni della polizia di Stato.

La situazione è stata monitorata quotidianamente tramite i poliziotti fino a quando la procura di Napoli, ascoltato il ragazzo, ha deciso di trasferirlo in una struttura protetta.

“Ringraziamo il Miur e l’Oscad per il supporto fornito, che ci ha consentito di mettere in sicurezza il ragazzo – si legge in una nota di Gay Center – Restiamo in attesa di conoscere i risvolti delle indagini, compresi i provvedimenti verso tutte le persone che sono state testimoni o erano informate delle violenze e non hanno denunciato”.

“Servono dalle istituzioni strumenti a tutela dei minori che subiscono violenze anche attraverso una rete di servizi integrati per supportare i giovani e giovanissimi lesbiche, gay e trans – aggiunge Fabrizio Marrazzo – che oltre ad essere spesso vittime di bullismo, vivono un vero e proprio inferno a casa che come abbiamo purtroppo spesso riferito ha portato anche al suicidio di molti giovanissimi”.

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Latina, carabiniere uccide le figlie e si suicida: vane le trattative

L'appuntato ha sparato alla moglie dalla quale si stava separando, poi è salito in casa, ha ucciso nel sonno le sue bambine di 8 e 12 anni ed è rimasto per ore barricato nell'appartamento prima di togliersi la vita. LA FOTOGALLERY



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Maestra insulta poliziotti: "Mi fate schifo". Miur avvia provvedimento

Giovedì 22 febbraio, la donna era in prima fila al corteo degli antagonisti contro CasaPound aTorino ed è stata filmata mentre inveiva contro le forze dell’ordine. Il ministro Fedeli: "Inaccettabile ascoltare parole di odio da un’insegnante". Renzi: "Sia licenziata"



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LIVE: neve e gelo sull'Italia, da giovedì una nuova perturbazione

L’ondata di maltempo che sta attraversando l’Italia raggiunge oggi, mercoledì 28 febbraio, il suo picco. Sono previste temperature minime di 6-7 gradi sotto lo zero anche in pianura. LE PREVISIONI



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Hello, Dolly!. La clonazione è da oggi materia anche per il mondo di attrici e attori di Hollywood. La 75enne Barbra Streisand ha infatti clonato il suo cane. Lo ha spiegato in una lunga intervista rilasciata a Variety. La protagonista de Il Principe delle maree e Come eravamo ha colto l’occasione di una lunga chiacchierata con l’inviato della bibbia del cinema Usa, Ramin Setodeeh, per far sapere che i due nuovi cagnolini con cui convive nella sua splendida villa di Malibù, in California, sono stati clonati con cellule provenienti dalla defunta e amatissima Samantha.

La sua bianca e candida Coton de Tulear è morta nel maggio 2017, ma la Streisand aveva già fatto prelevare delle cellule dalla sua bocca e dal suo stomaco per dare vita a due cloni: Miss Violet e Miss Scarlet. Le due cuccioline ora vivono con un terzo cucciolo di Coton de Tulear – Miss Funny, lontana cugina di Samantha – assieme all’attrice premio Oscar e al marito Josh Brolin. “Hanno personalità molto diverse”, ha spiegato la Streisand. “Ora aspetto che crescano per vedere se avranno gli stessi occhi seri e scuri di Samantha”.

Nella lunga intervista la Streisand, una delle prime donne a farsi largo nella casella “regia” quando nel 1983 ha diretto con un certo successo Yentl!, dove era anche protagonista femminile che decide di travestirsi da ragazzo per poter studiare la sacre scrittura ebraiche vietate alle donne, ha spiegato di essere molto delusa del fatto che le registe donne ancora non si sono affermate tanto quanto gli uomini. “Solo otto dei 100 film più visti negli Stati Uniti lo scorso anno sono diretti da donne”, ha spiegato con rammarico. “Tutti menzionano DW Griffith come padre del cinema che ha girato il suo primo film nel 1908, ma di Alice Guy, una segretaria Gaumont che girò un cortometraggio nel 1896 non ne parla mai nessuno”. La Streisand ha raccontato di non aver mai ricevuto molestie o aggressioni da persone potenti del mondo del cinema (“Forse non ero abbastanza bionda”) e che ha incontrato Harvey Weinstein una volta sola. Quando il distributore Miramax/TWC le ha chiesto di sedersi sul suo braccio e cantargli un brano dalla colonna sonora di un musical che stava interpretando a Broadway, lei si è rifiutata: “Ho subito pensato fosse un uomo rozzo e volgare”.

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Nella sua copertina satirica a Dimartedì (La7), Gene Gnocchi ha esibito alcuni gadget: dalle t-shirt con le scritte su Elsa Fornero e su Giuliano Cazzola a libri di autori assortiti. E ironizza su ‘B. come basta!” di Marco Travaglio (ed. Paperfirst): “Berlusconi ha reagito e ha scritto un libro contro Travaglio: T come Travaglio ti strozzo. Ed era ora che gli rendesse pan per focaccia

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Rimborsi integrali per i clienti Trenitalia che hanno dovuto rinunciare al viaggio su treni a lunga percorrenza o sono arrivati a destinazione con un ritardo superiore alle tre ore. Idem per chi aveva un biglietto Italo, ma solo se è rimasto a casa o ha subito ritardi di oltre due ore. Sono le condizioni previste dalle compagnie ferroviarie per risarcire chi è stato coinvolto dai disagi causati dall’ondata di gelo degli ultimi giorni. Mercoledì 28 febbraio la circolazione è ancora ridotta: Trenitalia garantisce l’80% dei treni Alta Velocità e il 70% dell’offerta regionale.

I clienti Trenitalia che hanno rinunciato al loro viaggio sui treni della lunga percorrenza coinvolti nei rallentamenti causati dal maltempo hanno diritto al rimborso integrale del biglietto. Così come chi ha comunque viaggiato ed è giunto a destinazione con un ritardo superiore alle tre ore. In questo caso le norme europee prevedono in generale sono un’indennità del 50%. Il rimborso per i treni nazionali può essere richiesto compilando l’apposito web form. Per le altre modalità e per i treni regionali vai alla sezione dedicata. Le richieste possono essere avanzate, si legge sul sito, entro il 31 marzo 2018.

“A fronte dei pesanti ritardi dovuti, secondo quanto comunicato da Rfi, al blocco di alcuni scambi nel nodo di Roma per avverse condizioni climatiche, abbiamo predisposto rimborsi ed indennizzi per i viaggiatori coinvolti”, ha annunciato dal canto suo Italo. La società dell’alta velocità comunica che per chi dovesse giungere con ritardi superiori ai 60 minuti l’erogazione degli indennizzi avverrà in maniera automatica (senza quindi richiesta da parte del viaggiatore) entro l’11 marzo. Per ritardi superiori ai 120 minuti è invece previsto il rimborso integrale. Anche a chi ha rinunciato al viaggio causa condizioni meteo sarà riconosciuto il rimborso del 100%. L’indennizzo viene riconosciuto automaticamente entro 30 giorni. Per “velocizzare le operazioni di riaccredito”, si legge sul sito, “questo viene erogato tramite voucher, Credito Italo o, per gli iscritti al programma Italo Più, su Borsellino Italo”.

 

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Dal Cipe arrivano 4,3 miliardi, a una manciata di giorni dalle urne: 740 milioni di euro per i centri storici e il turismo, un miliardo per il contrasto alle delocalizzazioni e i contratti di sviluppo. Uno e passa per infrastrutture, grandi e piccole. Una pioggia di fondi sul “sistema Italia” deliberata oggi nella riunione Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) presieduto dal capo del governo Paolo Gentiloni che non si vedeva da tempo e che arriva nell’ultima riunione prima delle elezioni, a quattro giorni dal voto. Era programmata per il 22 febbraio ma è slittata al 28, con un tempismo che potrà ingenerare qualche sospetto e polemica cui lo stesso ministro Calenda ha rischiato di dare sostanza, rilasciando un’intervista da Avvenire nella quale parla del destino del governo e anticipa alcune misure.

Di sicuro l’entità delle risorse impiegate è “importante” e le finalità cui rispondono legittime e anzi necessarie. Si parte con la Cultura che ottiene il via libera allo stanziamento di 740 milioni per il piano nazionale da 59 nuovi interventi sul patrimonio di tutto il Paese e interventi specifici per 360 milioni in 4 centri storici di quattro città importanti del Sud (Taranto, Palermo, Napoli e Cosenza), 10 milioni per buffer zone di Pompei, 32 per Ostia antica, 20 milioni per il litorale domizio, 135 per audiovisivo e imprese creative, 55 mln per il turismo sostenibile. Saluta l’impegno come una vittoria il responsabile dei Beni Culturali e del Turismo, Dario Franceschini: “E’ un altro grande investimento – rimarca Franceschini – che porta, per dimensione, le risorse destinate ai beni culturali dai 37 milioni che ho trovato in un piccolo capitolo di bilancio quattro anni fa a oltre 4 miliardi e 200 milioni di interventi già finanziati”. Con 1.500 cantieri aperti.

Ci sono fondi anche per infrastrutture, come la statale 106 Ionica che riceve un miliardo. Ma soldi arrivano anche “per il porto di Ravenna e progetti di accessibilità stradale a Malpensa per 220 milioni. In più si affiancano altre risorse Fsc per quasi un miliardo, distribuite in tutte le regioni, per sistemi di trasporto sostenibili ed eliminare le strozzature nelle principali reti”. Ad affermarlo in una nota è il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, al termine della riunione.

Fondi anche per l’impresa. Il ministro del Mise Calenda all’uscita annuncia: “Oggi il Cipe ha deliberato 200 milioni per il fondo per il contrasto alle delocalizzazioni e 850 milioni per i contratti di sviluppo: 1 miliardo e 50 milioni per gestire i processi di reindustrializzazione, transizioni e crisi industriali. La politica industriale di sviluppo rappresentata da Impresa 4.0, dal piano straordinario Made in Italy e dalla Sen, viene ora affiancata da una politica industriale di protezione per i lavoratori e le aziende spiazzate da innovazione tecnologica e globalizzazione”. Perché proprio oggi, a quattro giorni dal voto, è una domanda forse strumentale ma non proprio campata in aria, visto che lo stesso Calenda –  in un’intervista all’Avvenire oggi in edicola – anticipava parte dei provvedimenti parlando proprio di elezioni e destino dell’attuale esecutivo. Il concetto è che senza un governo “effettivo” interventi come questi non saranno possibili. L’intervista tocca il tema del post-voto, con Calenda (non candidato ma impegnato a sostenere il Pd e Bonino) che spiega così cosa serve all’Italia: “Dobbiamo continuare in un’azione, seria per una crescita basata su ‘più investimenti, più lavoro, più redditò. Non si fa crescita in altri modi non ci sono scorciatoie”, a tale proposito – si legge – spiega che il Cipe dovrebbe deliberare oggi, “con congrui finanziamenti”, “un fondo anti-delocalizzazioni, che sarà gestito da Invitalia per consentire di prendere un’azienda in crisi, ristrutturarla e rivenderla sul mercato. È un’azione a cui dobbiamo dare priorità, perché globalizzazione e innovazione divideranno sempre più aziende e lavoratori fra vincenti e perdenti”. Priorità, dirà qualcuno, a quattro giorni dal voto.

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Il boss e il suo gregario avrebbero dovuto segare le sbarre delle finestre della cella con i ‘capelli d’angelo’ che avevano ricevuto nella sala colloqui due giorni prima. Una volta usciti avrebbero dovuto raggiungere il tetto di un capannone interno al carcere di Foggia e vicino alle mura del carcere, dove sarebbero poi saltati sul cestello collegato al braccio telescopico di una gru o di un carrello elevatore, posizionati all’esterno della struttura carceraria. E via, verso la libertà per festeggiare l’anno nuovo.

La fuga da film di Antonio Quitadamo, uno dei capi del gruppo criminale foggiano attivo tra Mattinata e Vieste, capeggiato da Mario Luciano Romito, ucciso nella strage di mafia del 9 agosto 2017 a San Marco in Lamis, è stata stroncata da un’indagine della procura di Foggia e della Guardia di finanza. Nove le persone arrestate, tutte ritenute vicine al clan, accusati a vario titolo di tentata evasione e detenzione di armi clandestine.

Il momento scelto per la fuga era la notte di San Silvestro, quando tra botti di Capodanno e turni ridotti, la vigilanza delle guardie carcerarie sarebbe stata certamente attenuata. Con i fili diamantati avrebbero dovuto segare le sbarre, poi ad apparecchiare tutto il resto avrebbero pensato i complici. Ma era tutti intercettati da tempo. Almeno dall’11 ottobre scorso, quando i finanzieri hanno intercettato una telefonata partita dalla cella numero 3, nella quale sono era recluso proprio Quitadamo, arrestato a settembre dopo una lunga latitanza e in attesa di sentenze definitive per estorsione.

Non intervengono subito, aspettano. E il 29 dicembre, quando il gruppo pensa che ormai il piano possa andare in porto, ecco il primo intervento con il sequestro dei ‘capelli d’angelo’ durante una visita di uno degli arrestati al boss. Fili perfetti, ritenuti “tecnicamente idonei” dal personale specializzato della polizia penitenziaria di Bari per segare le sbarre. L’evasione, insomma, era davvero possibile.

Ma gli investigatori ascoltavano già tutto. Intercettazioni telefoniche e ambientali, che secondo l’ipotesi della procura hanno permesso di ricostruire anche altro. I due – assieme ad un altro detenuto – grazie al telefonino che avevano a loro disposizione in cella e a diverse schede sim che usavano e gettavano, avevano anche pianificato, assieme a una persona agli arresti domiciliari con il quale erano in contatto, di far entrare in carcere un’arma, indicata in modo criptico come una ‘cinta/cintura’, che doveva servire per uccidere un altro detenuto. E Quitadamo e Hdiouech trattavano con i referenti esterni anche il traffico di sostanze stupefacenti e la compravendita di armi clandestine.

L'articolo Foggia, boss progettava fuga dal carcere a Capodanno: arrestate nove persone. “Avrebbero usato una gru per uscire” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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La commissaria europea alla concorrenza Margrethe Vestager, giusto una settimana fa, aveva spiegato di non poter dare via libera alla proposta italiana di un “fondo contro le delocalizzazioni” per “mancanza di dettagli”. Poco male per il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda e il premier Paolo Gentiloni. Che a quattro giorni dal voto hanno deciso di sfruttare la riunione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe) chiamato ad assegnare quasi 5 miliardi di euro a valere sul Fondo europeo per lo sviluppo e la coesione per varare uno strumento ad hoc contro casi quello della Embraco. Nel frattempo, in un clima di larghe intese, anche il presidente dell’Europarlamento Antonio Tajani – indicato da Silvio Berlusconi come possibile premier in caso di vittoria elettorale della sua coalizione – si muove incontrando una delegazione dei lavoratori Embraco e promettendo che “contatterà il ministro dell‘Industria del Brasile per sottolineare la delicatezza del caso e chiedere un intervento a Brasilia”.

Partiamo dall’Italia: sui 5 miliardi assegnati dal Cipe 200 milioni sono andati, si apprende da un comunicato diffuso dal ministero di via Veneto, al “fondo per il contrasto alle delocalizzazioni”. E altri 850 milioni “per i contratti di sviluppo”. In tutto, vanta il Mise, “1 miliardo e 50 milioni per gestire i processi di reindustrializzazione, le transizioni e le crisi industriali”. Una risposta al caso Embraco, ma con i soldi di Bruxelles. Che, alla luce della normativa sugli aiuti di Stato, difficilmente potrà consentire a un Paese membro di usarli per offrire alle aziende condizioni più favorevoli rispetto a quelle garantite – per esempio – dai governi dell’Est Europa.

Gentiloni ha comunque pubblicamente rivendicato il risultato: “Sottolineerei l’importanza delle decisioni sul tema dei fondi per contrastare le delocalizzazioni industriali”, ha detto dopo la riunione, oltre a evidenziare le “decisioni molto rilevanti” sulle “infrastrutture“, il cui rilancio è “fondamentale per i nostri investimenti“, sui fondi per la cultura e il turismo, “con un’attenzione particolare alle Regioni meridionali”, sui “piani operativi per l’ambiente”. “La politica industriale di sviluppo rappresentata da Impresa 4.0, dal piano straordinario Made in Italy e dalla Strategia Energetica Nazionale”, ha chiosato Calenda, “viene ora affiancata da una politica industriale di protezione per i lavoratori e le aziende spiazzate da innovazione tecnologica e globalizzazione”.

L’offensiva del ministro non finisce qui: secondo l’Ansa, ha “avuto dei contatti anche con l’amministratore delegato di Whirlpool, Marc Bitzer, sulla vertenza” e dalla società brasiliana Embraco, controllata dal gruppo americano, potrebbero arrivare nuove proposte. Su Twitter però Calenda non parla di contatti con Embraco bens^ di sforzi “per raccogliere tutte le manifestazioni di interesse e presentarle ai sindacati. Chiesto di organizzare un incontro tra venerdì e lunedì al ministero dello Sviluppo economico”.

Ma il centrodestra non vuole evidentemente lasciare una questione così sensibile alle mosse dello schieramento avversario. Così Tajani si affretta a dichiarare che “il caso” Embraco “non è soltanto un caso italiano, è un caso europeo, perché rischia di essere un pericoloso precedente che invece di favorire la crescita armonica di una indispensabile rete industriale europea può spostare pezzi di industria da una parte all’altra all’interno della Unione Europea. L’obiettivo di una politica industriale europea non è far perdere posti di lavoro in Italia e farli crescere in Slovacchia, ma fare aumentare l’occupazione europea in generale. E senza industria non si crea lavoro. Soprattutto perché dobbiamo dare una prospettiva ai giovani”. Segue la promessa di una “telefonata” al ministro brasiliano e all‘amministatore delegato della società americana proprietaria di Embraco (Whirlpool) perché si renda conto di quanto una scelta di delocalizzazione sia dannosa”. Secondo Tajani “il dumping sociale non è concepibile anche se non c’è violazione sull‘utilizzo dei fondi comunitari”, ha risposto a chi chiedeva cosa succederà qualora l‘Antitrust Ue non dovesse riscontrare violazione delle norme comunitarie sugli aiuti di Stato da parte della Slovacchia.

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Nina Moric sarebbe felice se il figlio Carlos venisse affidato al padre, Fabrizio Corona: “Meglio che alla nonna”, ha detto la modella al settimanale Oggi. L’affidamento di Fabrizio Corona ai servizi sociali permetterà a Carlos di “avere un punto di riferimento maschile. Un padre, una figura che ogni bambino, ogni vita dovrebbe avere. Potrà, spero, fare affidamento su di lui”, ha aggiunto. Il figlio dei due vive attualmente con la nonna paterna e a tale proposito la modella croata ha affermato: “Lo sento una volta alla settimana, quando gli consentono di rispondermi, e lo vedo una ogni due. Pensi che la nonna, la “amata” nonna, non mi concede nemmeno di parlare con i professori della sua scuola”.

 

 

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Robert Mueller, procuratore speciale per il Russiagate, sta indagando sulle attività economiche coltivate da Donald Trump in Russia prima della campagna elettorale 2016, mentre il repubblicano valutava di candidarsi. Lo riferisce la Cnn, citando tre persone a conoscenza dei fatti. Diversi testimoni sono stati ascoltati a proposito dei tempi della decisione del magnate sulla sua candidatura, di informazioni potenzialmente compromettenti che i russi avrebbero potuto avere su Trump, delle attività relative alla Trump Tower a Mosca, hanno spiegato due fonti. Il team di Mueller, scrive l’emittente televisiva, seguirebbe una linea investigativa che va oltre la fase della campagna per esplorare il modo in cui i russi possono aver cercato di influenzare Trump in un momento in cui si trovava a Mosca per discutere di affari e mentre contemplava la possibilità di candidarsi.

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Voterò M5S. Non perché sia convinto del loro programma. Per uno che come me abbraccia la filosofia del postumano (se non sapete cos’è potete approfondire qui), il Movimento è anni luce lontano dalle mie posizioni. Ma vivo all’interno di un simulacro di democrazia (come spiegherò dopo), e allora lascio l’empireo, scendo con i piedi per terra ed entro con passo stanco nella cabina elettorale (“è proprio vero che fa bene un po’ di partecipazione” Gaber dixit). E lì farò la croce sul simbolo del Movimento, perché qualcosina cambi, non sarà molto, anche e non solo perché la politica non la si decide unicamente qui in Italia, bensì in quell’invenzione deliberata a tavolino che è l’Europa.

Ma qualcosina potrebbe cambiare, se non altro perché – almeno per il momento – il Movimento non è legato ai poteri forti, bancari ed economici come il Pd. Partito che io – da difensore dell’ambiente – continuo a ritenere il peggio del peggio nel nostro paese. Partito senz’anima, formato da una accozzaglia di ex qualcosa, ma unito nella forte volontà di portare avanti tutto ciò che nuoce gravemente agli italiani: dalle privatizzazioni alle grandi opere. Un neoliberismo sgangherato che appunto procura solo danni. Ora con il volto tranquillizzante di Romano Prodi, ora con la faccia facciosa di Matteo Renzi, ora con l’aspetto dimesso di un Paolo Gentiloni, opportunista per eccellenza (Lotta Continua, Dc, Pd).

E qui debbo dire che mi spiace molto che ci siano ancora miei compagni di strada che oggi votano questo partito. Persone che si dicono ambientaliste e che non avrebbero votato la Dc neanche sotto tortura oggi votano Pd, senza neanche turarsi il naso. Cosa gli darà fastidio del Movimento? L’atteggiamento guascone di Beppe Grillo e le sue denunce? Ma non abbiamo sempre detto che in Parlamento erano tutti uguali? Che erano tutti ladri? Che guadagnavano un sacco di soldi? Che dovevano andare a lavorare anziché stare lì ad occupare scranni tutta la vita? Oppure il fatto che i parlamentari del Movimento siano persone comuni, lontani dagli apparati? Mistero.

D’altra parte, dove governano, i grillini qualcosa di buono l’hanno pur fatto. Virginia Raggi ha intristito Malagò con il NO alle Olimpiadi: impagabile. A Torino, non tornerà lo zoo, l’ex ippodromo del Meisino non sarà privatizzato, così come pure forse non sarà privatizzata la Cavallerizza, e si dirà niet – spero – alle olimpiadi invernali del 2026. Non sono miracoli, ma sono piccole azioni coerenti con il programma. E poi, che diavolo, il Movimento è sempre stato contrario alla Tav Torino – Lione. Chi mi segue sa che ho sempre vissuto in prima persona la lotta contro quest’opera inutile e devastante. Ora, proprio in questi giorni – mentendo sapendo di mentire – ci vengono a dire che i numeri che la giustificavano erano sbagliati.

Si vergognino, i numeri erano chiari fin da subito. Solo che loro non volevano vederli perché l’opera doveva essere realizzata a ogni costo per creare lavoro, per far girare i soldi, per favorire magari le cooperative rosse. E guai a opporti che venivi criminalizzato. E poi la chiamano democrazia. “Ma mi faccia il piacere”, citando Totò. Questa è solo un simulacro, una parvenza di democrazia. La democrazia vera sarebbe ben altro. Questa è la dittatura del capitale.

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Ottava generazione in arrivo, quella che vedete nella gallery qui sopra, per la maxi berlina di casa Audi: la A6. Neanche a dirlo, la nuova nata punta sull’eleganza di un design che va avanti senza sconvolgimenti ma stavolta guadagna qualcosa in sportività. Sensazione che, stando alle anticipazioni dei tecnici tedechi, dovrebbe essere confermata anche più avanti nei test su strada. E che le nuove dotazioni, tra cui lo sterzo integrale dinamico, lasciano presagire. La A6, tuttavia, per sua natura dev’essere un’auto innanzitutto confortevole: lo testimoniano l’accoglienza dell’abitacolo e le sue tante dotazioni high tech, tra cui il sistema MMI touch response totalmente digitale, che adatta i comandi alle esigenze di chi è alla guida come se la vettura fosse uno smartphone. Gli allestimenti disponibili sono cinque mentre le quattro motorizzazioni previste al lancio sono tutte dotate di tecnologia mild-hybrid, su cui Audi punta molto. A tale proposito ricordiamo che per il debutto sulle piazze europee (in Italia dal second semestre 2018) la A6 potrà contare sul 3.0 TFSI turbo benzina da 340 Cv, sul 3.0 TDI a gasolio da 286 e 231 Cv e sul 2.0 TDI da 204 cavalli. La produzione di nuova Audi A6 avverrà nello stabilimento di Neckarsulm, in Germania.

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Prodi, Veltroni e Napolitano contano su Gentiloni dopo il voto? Ricordano quelli che vorrebbero andare a letto con Sharon Stone, ma non la conoscono”. Così a Dimartedì (La7) il direttore de Il Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, risponde al conduttore Giovanni Floris sui consensi del centrosinistra nei confronti del presidente del Consiglio uscente. “Per andare a palazzo Chigi bisogna prendere i voti” – continua – “E’ difficile vincere la lotteria senza comprare il biglietto. La principale qualità di Gentiloni è quella di essere ben educato, ma di solito è un po’ poco in politica. L’esenzione del canone Rai per 350mila anziani? Gentiloni passava per essere l’uomo serio che dice la verità e per il nemico antropologico dei populisti. E aggiunge: “Adesso scopriamo che ha confermato il 31 dicembre i vertici di Trenitalia a camere chiuse con 4 mesi di anticipo, mentre oggi dovrebbe chiedergli della paralisi dei treni per 20 cm di neve attesi. In più, mi è cascato sul populismo proprio sul traguardo con la promessa di non far pagare il canone ai pensionati. Ma queste cose le lasci fare a De Luca e a quelli delle fritture“. Il direttore del Fatto si pronuncia sulle ultime beghe nelle liste del M5S: “Non mi spaventa uno che taroccava cd 20 anni fa, ma casi seri, come quello dell’imprenditore indagato per reati finanziari e che aveva nascosto al movimento di esserlo. Se improvvisi all’ultimo momento le candidature, ti esponi al rischio di mettere dentro delle persone che il giorno dopo scopri che non andavano bene e che non puoi più togliere. L‘apertura agli esterni da parte di un movimento, che prima era una specie di setta, è positivo” – prosegue – “Il problema è che gli esterni te li dovresti coltivare per qualche mese in modo da conoscerli, metterli alla prova e fargli i raggi X. Quella di annunciare prima del voto i ministri mi pare una buona mossa di Di Maio. E’ il degno coronamento di chi presenta il programma”

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La campagna elettorale l’ha dimostrato e il voto del 4 marzo probabilmente lo confermerà: in Italia, le forze politiche europeiste, seppur moderatamente, sono una minoranza; e quelle che dichiarano senza reticenze il loro sostegno all’integrazione europea sono quasi marginali. Eppure, la galassia delle istituzioni e delle organizzazioni europeiste, che nelle ultime settimane ha moltiplicato eventi e iniziative, fatica a unire le proprie forze e non riesce a fare di tanti ruscelli – Movimento federalista europeo, Gioventù federalista europea, Consiglio italiano del movimento europeo, Associazione italiana per il consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa, Centro internazionale di formazione europea e quant’altri – un impetuoso torrente.

C’è stato fermento europeo, a Roma, nelle ultime settimane: non s’erano mai visti tanti eventi l’uno di seguito all’altro nel segno dell’Ue, tranne forse un anno fa, quando ricorreva il 60esimo anniversario della firma a Roma, il 25 marzo 1957, dei Trattati costituivi delle Comunità europee. Martedì 14 è stato il giorno record, grazie a un altro anniversario: in quella data, nel 1984, il Parlamento europeo approvava il progetto di Trattato sull’Unione europea voluto da Altiero Spinelli.

In vista delle elezioni politiche, la rappresentanza in Italia della Commissione europea ha ospitato una serie d’incontri con esponenti di spicco delle varie liste, per presentare e discutere i rispettivi “programmi europei”, che un’analisi di Gianni Bonvicini, vice-presidente emerito dell’Istituto di affari internazionali (Iai) e uno dei massimi esperti d’Europa italiani, compara a una cacofonia in sordina. Lo stesso Iai, l’Istituto di Spinelli, ha dedicato uno speciale del suo webzine Affarinternazionali.it all’approfondimento dei temi europei e internazionali della campagna elettorale.

E, oltre a organizzare dibattiti, il Movimento federalista – presidente Giorgio Anselmi – ha chiesto ai candidati di firmare un “impegno” sulle responsabilità dell’Italia per un’Europa federale. Invece, il Movimento europeo – presidente Pier Virgilio Dastoli – ha sollecitato i candidati su un decalogo per “un’Europa unita, solidale e democratica, strumento di pace in un mondo globalizzato”. E l’associazione Università per l’Europa, animata dal professor Francesco Gui, ha lanciato un appello perché i candidati s’impegnino a promuovere, nelle scuole, l’educazione europea e la formazione dei giovani alla cittadinanza europea.

Spesso, anche un discreto conoscitore degli affari europei fatica a cogliere le differenze fra un testo e l’altro, anche se autori ed esegeti sono in grado di spiegarvene gli accenti più “spinelliani” o più “macroniani”, l’ispirazione più “liberista” o più “sociale”, i contenuti più “idealisti” o più “funzionali”.

Le firme sono state numerose, talora sovrapposte; come pure i dinieghi e i distinguo. Se tutto questo benemerito attivismo europeista voleva contrastare uno dei momenti più tiepidi e più critici verso l’integrazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche, un unico messaggio semplice ed essenziale sarebbe probabilmente stato più efficace. Tentativi sono stati fatti, per definire un metodo e a un’agenda comune per realizzare la federazione europea e per unificare testi e documenti. Ma alla fine i rivoli sono rimasti rivoli.

A basarsi sugli ultimi sondaggi leciti, ben oltre la metà degli italiani intenzionati a recarsi alle urne il 4 marzo sono orientati a votare per forze euro-critiche o apertamente euro-scettiche. E le altre forze maggiori sono più euro-tiepide che euro-entusiaste. La sola lista genuinamente europeista è quella di Emma Bonino, l’unico leader che, parlando di Ue, forte della competenza acquisita come parlamentare e commissaria europea e ministro degli Affari europei e degli Esteri, non usa formule trite e vuote tipo “un’Europa diversa”, “un’altra Europa”, “imprimere una svolta all’Europa”, “far fare all’Europa un salto in avanti”, “andare verso gli Stati Uniti d’Europa”, ma mostra conoscenza di causa su problemi e Istituzioni: “L’Europa – dice, dichiarando la sua ‘nostalgia’ – non è un posto dove si vanno a battere i pugni sul tavolo”.

La famiglia federalista europea in Italia fatica a tenere unite le poche forze, anche se talora, come fu il 25 marzo 2017, ci riesce. E non consola certo il fatto che la dispersione delle energie federaliste trovi conferma sul piano finanziario a livello europeo: al momento di concorrere ai sostanziosi finanziamenti triennali 2018/20 della Commissione di Bruxelles, Uef, Jef, Mei sono stati rivali, non alleati. Così, ci sono stati vincitori e vinti e i soldi Ue sono stati distribuiti fra decine di progetti. Come se il progetto vero non fosse uno solo, comune a tutti: un’Europa federale, forte e sicura.

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Un uomo sta guidando la sua moto lungo un’autostrada in California. Improvvisamente perde il controllo del mezzo, cade e viene proiettato verso il centro della carreggiata, mentre sta passando un autoarticolato. Ma quello che accade in quei pochi, drammatici secondi lascerà di stucco il motociclista e tutti quelli che vedranno le immagini registrate dalla telecamera montata sul casco. Scivolando sull’asfalto ad alta velocità, l’uomo passa sotto al camion attraversandolo tra le ruote posteriori e il rimorchio. Con il cuore in gola si rialza sulle sue gambe, scoprendo di avere solo delle abrasioni al ginocchio e ad un’anca. Sarebbe bastato un secondo in più e il mezzo pesante l’avrebbe travolto. Soccorso a bordo strada da alcuni automobilisti, il centauro non riesce a smettere di ringraziare per quei pochi istanti che gli hanno permesso di rimanere vivo: “Sono vivo”

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A quattro giorni dal voto arriva la firma dell’accordo preliminare per la cosiddetta autonomia differenziata tra il governo e le Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. L’intesa è stata siglata mercoledì mattina a Palazzo Chigi dal sottosegretario agli Affari Regionali Gianclaudio Bressa e dai tre governatori e prevede “forme e condizioni particolari di autonomia” che le Regioni assumono come prevede l’articolo 116 della Costituzione all’interno di due elenchi: le 20 competenze concorrenti tra Stato e Regioni, dal commercio con l’estero alla ricerca, all’energia, e le tre competenze esclusive dello Stato, cioè giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente.

In sostanza le tre Regioni hanno chiesto le competenze – altre si sono poi accodate – e lo Stato ne ha misurato il costo e ha calibrato le risorse in base ai nuovi compiti accordati all’amministrazione regionale. Le prime a muoversi sono state Veneto e Lombardia, dopo l’esito positivo del referendum sull’autonomia dello scorso 22 ottobre, seguite subito dopo dall’Emilia Romagna senza bisogno di una (costosa) consultazione popolare. L’autonomia differenziata è possibile grazie all’articolo 116, comma terzo, della Costituzione. Estensore del comma dell’articolo 116 è stato proprio il sottosegretario Bressa durante la riforma della Costituzione del 2001.

Il presidente del Veneto Luca Zaia dopo la firma ha esultato definendola “giornata storica”. “Abbandonata la spesa storica – ha continuato – sì ai fabbisogni standard, la compartecipazione su più aliquote e tributi, le 23 materie e la costituzione della commissione paritetica che già esiste nelle province autonome di Trento e Bolzano”. Secondo Zaia il prossimo passaggio “è aprire gli altri 18 tavoli. Cinque tavoli sono già aperti con già delle risultanze per sanità, istruzione, ambiente, lavoro e rapporti con l’Europa. Bisogna aprire altri 18 tavoli e poi chiudere l’intesa, si è definito che dura 10 anni e poi verrà rinnovata e ci sarà un tagliando all’ottavo anno”.

Altrettanto trionfante Roberto Maroni: “Sono molto soddisfatto di concludere in bellezza la mia esperienza di cinque anni alla guida della Regione. E’ scritto, non si torna indietro, bisogna completare il percorso, si apre un nuovo corso per la Lombardia e le Regioni”. Ad una giornalista che gli faceva notare che non c’è stato in questo percorso l’appoggio di Salvini, Maroni ha risposto: “In che senso? Ringrazio i tre milioni di lombardi che hanno votato al referendum, senza il loro appoggio non saremmo arrivati a questo risultato, dedico a loro questa pagina importante della storia e affido a chi arriverà il compito di completare l’iter in tempi rapidi. E’ un modello che potrà essere esportato in tutte le Regioni in cui i governatori accetteranno la sfida. Si tratta infatti di una bella sfida che noi abbiamo vinto oggi”.

“Il prossimo Parlamento e il Governo non potranno non tener conto di questo accordo”, ha commentato dal canto suo il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. “Noi non avevamo fatto il referendum né Regioni a statuto speciale ma quello che avevamo immaginato come Emilia Romagna si è dimostrato essere una scelta giusta, senza slogan ma con fatti concreti. Non sono più risorse da Roma ma più risorse trattenute alla fonte per la gestione di alcune competenze, per garantire alcune peculiarità: penso al manifatturiero, l’istruzione o l’ambiente”. “In un prossimo accordo – ha aggiunto – si dovrà determinare il superamento della spesa storica per passare ai costi standard che saranno un approdo importante per tutto il Paese. Questa è una opportunità per tutte le Regioni, non c’è più un nord o un sud: noi ci sentiamo italiani prima che emiliano romagnoli”.

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Mai vista una Kia da 370 cavalli di potenza? L’hanno fatta, si chiama Stinger ed è l’auto con cui inizierà un “processo irreversibile di cambiamento del brand”, sostengono i vertici della casa coreana: da marchio value for money, a marca generalista sportiva. Un cambiamento di identità da completare entro il 2025 e che vede nella Stinger un prologo perfetto. Il tutto con l’idea di implementare un giro d’affari già lusinghiero: in Europa le consegne sono passate dalle 225 mila unità del 2008 alle 470 mila del 2017. Anche se la Stinger non contribuirà poi molto agli auspicati trionfi commerciali: basti pensare che in Italia il pronostico è di venderne appena 500 l’anno.

Se si guarda alle potenzialità di vendita, “la Stinger è un’auto che finanziariamente non ha senso”, si è lasciato sfuggire un manager di Kia durante la presentazione dell’auto alla stampa. Anche perché i prezzi (da 47,5 mila a 55 mila euro) e le motorizzazioni – un 2.2 turbodiesel da 200 Cv e un 3.3 V6 turbobenzina da 370 Cv – non sono democratici. La mission della Stinger è piuttosto quella di promuovere l’immagine della marca attraverso un’alchimia di design – linea da coupé con piglio fastback derivata dalla GT Concept, presentata 6 anni fa al Salone di Francoforte e firmata da Peter Schreyer – e prestazioni.

Stinger marca stretto Alfa Romeo Giulia, Audi A5 Sportback e BMW Serie 4 GranCoupé: un quinto della sua potenziale clientela dovrebbe arrivare proprio dai marchi premium. Le credenziali ci sono tutte: bassa e larga come è, l’auto si fa guardare molto. La meccanica è di quelle “giuste”: motore installato longitudinalmente, cambio automatico a 8 marce, quote telaistiche da auto a trazione posteriore, sospensioni sofisticate – MacPherson evoluto davanti, multilink dietro – fondo carenato, scocca col 55% di acciai speciali e quattro ruote motrici in opzione per la diesel (2 mila euro), di serie sulla V6.

Ed è proprio quest’ultima ad essere stata strapazzata sotto le esigenti terga di chi scrive: l’attenta distribuzione dei pesi fra gli assali assicura alla Stinger una dinamica di marcia di ottimo livello. Lo sterzo è preciso ed ha una buona prontezza, mentre il motore è emozionante tanto per la spinta – con un’erogazione piena e senza buchi di coppia motrice – quanto per i “vocalizzi” che elargisce dai quattro terminali di scarico in coda. Le prestazioni sono elevate: i 510 Nm di coppia massima del V6 consentono alla Stinger di accelerare da 0 a 100 km/h in 4,9 secondi e raggiungere i 270 orari. Certo, non bisogna fare troppo caso ai consumi

Bene il cambio automatico con convertitore di coppia a 8 marce, made in Kia: potrebbe essere solo un po’ più rapido quando si richiamano le marce manualmente. La Stinger ha una pregevole tenuta di strada e un comportamento tendenzialmente neutro: infonde sicurezza, nonostante un certo coricamento laterale dovuto anche alla massa elevata. Cinque i programmi di guida disponibili: regolano erogazione del motore, peso dello sterzo, taratura delle sospensioni elettroniche e funzionamento del cambio. E con la quattro ruote motrici sono scongiurati i pattinamenti anche sui fondi a bassa aderenza. Quando si decide di marciare in scioltezza, invece, l’assetto assicura tutto il comfort che ci si aspetta da una granturismo di grossa taglia.

Nell’abitacolo tante luci ma anche qualche ombra: la sostanza c’è ma alcuni particolari sono migliorabili, come le plastiche economiche di sterzo e piantone e le finiture “piano black” sparse qua e là. L’impressione generale è comunque positiva e lo spazio a bordo non manca nonostante il profilo da coupé, su alcune concorrenti poco favorevole per chi siede dietro. La capacità del bagagliaio però non è da primato: oscilla fra 406 e 1114 litri (abbattendo lo schienale posteriore).

Pur senza essere “pirotecnico”, il sistema infotelematico col touchscreen da 8” si legge bene ed è compatibile con smartphone. Il sapore hi-tech lo garantisce l’head-up diplay, che proietta sul parabrezza tachimetro e gps. La dotazione di sicurezza prevede di serie il sistema che monitora la stanchezza del guidatore, la frenata automatica di emergenza con riconoscimento pedone, il cruise control adattivo, il mantenimento autonomo della propria corsia di marcia ed i sistemi che avvertono della presenza di altri veicoli nell’angolo morto dei retrovisori. Utili la telecamera con visuale 360° e la retrocamera.

Kia Stinger – la scheda

Il modello: è la prima ammiraglia di casa Kia, con design ricercato e buone prestazioni.

Dimensioni: lunghezza 4,83 metri, larghezza 1,87, altezza 1,40, passo 2,91

Massa in ordine di marcia: 1802 kg della diesel a 1909 kg per la versione V6 oggetto della prova

Motori: 6 cilindri 4 cilindri turbodiesel 2.2 da 200 Cv; 3.3 turbobenzina da 370 Cv

Velocità massima: da 230 km/h a 270 km/h

Prezzi: da 47.500 a 55.000 euro

Ci piace: handling e stile

Non ci piace: alcuni particolari interni cheap

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Le trattative tra Londra e Bruxelles sulla Brexit registrano un nuovo stop. La proposta dell’Ue sui confini irlandesi, con la prospettiva di inserire la sola l’Irlanda del Nord senza il resto del Regno in “un’area comune” allineata alla normativa europea, è irricevibile. Lo ha detto Theresa May durante il question time di oggi alla Camera dei Comuni in risposta alla bozza di accordo nelle trattative per la Brexit presentata da Michel Barnier: il capo negoziatore dell’Ue ha affermato che l’Irlanda del Nord potrebbe rimanere nell’unione doganale dell’Ue dopo il divorzio da Bruxelles. “Il progetto d’accordo pubblicato dalla Commissione europea, se applicato, nuocerebbe al mercato comune britannico – ha detto la premier britannica – e minaccerebbe l’integrità costituzionale del Regno Unito, creando una frontiera doganale e regolamentare nel Mare d’Irlanda e nessun primo ministro britannico l’accetterà”.

Barnier ha presentato la bozza, parlando del “progetto di testo sull’accordo di recesso adottato dal collegio dei commissari Ue, e che dovrà essere approvato dai 27 Stati e dal Parlamento europeo, prima di essere messo sul tavolo negoziale col Regno Unito”. In un protocollo separato, rispetto alla bozza dell’accordo di recesso, la Commissione europea ha presentato una delle tre opzioni possibili per risolvere la questione delle frontiere irlandesi, il cosiddetto ‘backstop‘, accrescendo il pressing su Londra. L’opzione prevede che il Regno Unito mantenga pieno allineamento con le regole comunitarie del Mercato interno e dell’Unione doganale e sostenga la cooperazione tra Nord e Sud e l’economia dell’intera isola.

“E’ un momento cruciale del negoziato che vogliamo concludere positivamente”, ha detto il capo dei negoziatori, ma “se vogliamo che questi negoziati siano un successo dobbiamo accelerare. Il 30 marzo 2019, tra 13 mesi, il regno Unito non sarà più un Paese dell’Unione e dobbiamo organizzare” questa uscita “in modo ordinato. I tempi sono stretti tra oggi e l’autunno prossimo, quando dovremmo chiudere questo accordo per avere poi i tempi per le ratifiche necessarie”. “Cerchiamo soluzioni sane e semplici, per evitare che in Irlanda ci sia una barriera fisica, e per tutelare gli accordi – ha spiegato – ma siamo disponibili a prendere in esame anche altre soluzioni e siamo in attesa di ricevere elementi dalla Gran Bretagna”. “Dobbiamo essere pronti” anche all’insuccesso di trovare un accordo sulla Brexit “e prepararci a qualsiasi scenario”, ha concluso Barnier.

Di barriera fisica aveva parlato, secondo alcuni giornali britannici, il ministro degli Estero Boris Johnson: “Quello che avviene è che la questione della frontiera con l’Irlanda del Nord viene regolarmente utilizzata a fini politici per provare a mantenere il Regno Unito nell’unione doganale […] in modo che noi non usciamo veramente dall’Ue”, ha detto in mattinata il capo della diplomazia di Londra, convinto sostenitore dell’uscita dall’Ue. Poco prima, in una lettera ottenuta da Sky News, era emerso che Johnson aveva gettato dubbi sulla posizione del Regno Unito in merito alla questione dell’Irlanda del Nord nell’ambito dei negoziati sulla Brexit, ipotizzando il possibile ritorno di una forma di frontiera “dura“. “È sbagliato considerare che l’obiettivo è di non mantenere alcuna frontiera”, scrive Johnson, sostenitore di una Brexit senza concessioni, in questo documento di lavoro indirizzato alla premier britannica Theresa May. Il documento è emerso prima che Barnier presentasse la bozza di accordo.

Mentre Londra ha affermato che non intende ristabilire una frontiera “dura” fra la provincia britannica dell’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, Johnson sembra al contrario aprire la strada a una possibilità del genere, sminuendo l’eventuale impatto che questa ipotesi avrebbe sulle relazioni commerciali. “Anche se una frontiera dura viene reintrodotta, ci attendiamo che più del 95% delle merci passino la frontiera senza controlli doganali”, si legge nella lettera ottenuta da Sky News, in cui stima che la percezione dell’importanza dei controlli alle frontiere esterne dell’Ue sia “esagerata“. Questa posizione sembra un cambio di rotta, dal momento che Johnson aveva più volte detto che non si augurava un ritorno a una frontiera “dura”.

Londra e Bruxelles erano arrivate a un accordo preliminare a dicembre su diverse questioni chiave, tra cui quella della frontiera nordirlandese, e l’esecutivo britannico si è impegnato a evitare di ristabilire una frontiera fisica dopo l’uscita dall’Ue. Ma la soluzione della questione non è ancora stata ottenuta e si scontra con la volontà del Regno Unito di uscire dal mercato unico e dall’unione doganale.

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