Anche la Spagna, come l’Italia, da oggi potrebbe avere un nuovo governo, anche se di segno molto diverso e non passando da tre mesi di consultazioni. Al Congresso dei deputati, infatti, si vota la mozione di sfiducia nei confronti del premier Mariano Rajoy, leader del Partido Popular, travolto da uno scandalo dopo l’altro e soprattutto dalla sentenza del cosiddetto “caso Gurtel”, una Tangentopoli spagnola, con la quale sono stati condannati l’ex tesoriere del partito Luis Bárcenas (33 anni la pena) e lo stesso partito. La pronuncia dei giudici ha aggravato una crisi che il Pp

Il Parlamento di Madrid ha avviato la seconda parte del dibattito della “mociòn de censura” che dovrebbe portare verso mezzogiorno alla caduta del governo di centrodestra e alla sua sostituzione con il segretario del Psoe, il partito socialista, Pedro Sànchez, Pedro el guapo come viene chiamato, cioè “Pedro il bello”. A favore della sfiducia, infatti, dovrebbero votare 180 dei 350 deputati: oltre ai socialisti voteranno sì anche i parlamentari di Podemos (il partito di sinistra-sinistra nato sull’onda degli Indignados) e altri gruppi minori e partiti regionali come gli indipendentisti catalani che contano 17 parlamentari. Decisiva è diventata la presa di posizione del Partito nazionale basco che con i suoi 5 deputati ha spostato l’equilibrio del dibattito.

“Si apre una pagina nuova nella storia del nostro Paese” ha detto Sànchez di nuovo oggi in Parlamento, dopo il primo intervento di ieri. Il nuovo governo, ha annunciato la capogruppo del Psoe Margarita Robles, seguirà “il modello di quello di José Luis Zapatero“. Sànchez ha assicurato che il suo esecutivo garantirà il rispetto degli impegni presi con l’Europa e la stabilità. E Rajoy? Non c’è: una ulteriore “mancanza di rispetto”, secondo i socialisti. Rajoy poi è riemerso in finale di seduta, ma la difesa è stata affidata al capogruppo Rafael Hernando con un intervento-fiume: “Sànchez mendica i voti dei golpisti” ha detto riferendosi ai parlamentari indipendentisti catalani. La sola mossa che poteva cambiare lo scenario di un cambio di governo attraverso un voto del Congresso sarebbero state le dimissioni di Rajoy che avrebbero bloccato la sfiducia e manderebbero la Spagna alle elezioni anticipate e sarebbe stata la terza volta in due anni e mezzo. E’ quanto gli ha chiesto, invano, fino all’ultimo Albert Rivera, il leader di Ciudadanos, il partito “anti-sistema” ma di centrodestra che ha fondato sulla moralizzazione della politica il centro del suo programma. I popolari, intanto, cominciano a pensare a chi sarà il successore di Rajoy alla guida del partito che governa il Paese da 7 anni: in prima fila c’è Soraya Sàenz de Santamaria, 47 anni, che in questi anni è stata vicepremier e ministra degli Interni.

Sànchez si ritroverebbe al governo sostenuto da una maggioranza molto frastagliata, formata dall’insieme dei partiti che oggi sfiduciano Rajoy. Una “armata Frankenstein” l’ha definita proprio il premier. Ma una coalizione che si ispirerà al “modello portoghese”: a Lisbona il premier socialista Antonio Costa governa in minoranza con l’appoggio della sinistra radicale. Sànchez, dopo aver sostenuto per mesi la linea dura di Rajoy sulla Catalogna, ha promesso a Barcellona dialogo “per una soluzione politica a una crisi politica”, ha garantito il bilancio 2018 di Rajoy e il mezzo miliardo di investimenti per il Paese Basco. Non è chiaro come governerà e per quanto tempo. Ha detto di volere un governo socialista, nonostante l’offerta di una coalizione con Podemos. Parte con i soli 84 deputati Psoe, sarebbe il governo più minoritario della Spagna democratica.

L'articolo Spagna, anche Madrid cambia. I socialisti: “Faremo governo alla Zapatero. Ma rispetteremo gli impegni con l’Ue” proviene da Il Fatto Quotidiano.



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